il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2018
Ecco chi paga i partiti
La politica non si sente più casta, ma ancora costa. I finanziamenti pubblici (diretti) sono spariti, le strutture dei partiti sono più snelle, quasi impercettibili se non per la propaganda, e perciò aumentano le donazioni private con ampio supporto dei politici stessi e di una miriade di piccole, medie e grandi imprese che si muovono per tutelare i propri interessi. O detto in volgare: i propri affari. Il resoconto arriva dai tabulati – consultati dal Fatto e riferiti a quest’anno – delle dichiarazioni congiunte che partiti, eletti e candidati sono obbligati a depositare alla Camera. La legge – che sta per cambiare – impone la trasparenza per i contributi superiori a 5.000 euro fino al limite di 100.000, ma le norme sulla privacy rendono agevole l’occultamento del benefattore.
La Lega ha un debito con lo Stato di 49 milioni di euro per la condanna sui rimborsi pubblici del passato di Bossi & Belsito. Seppur inarrestabile nei sondaggi, il Carroccio di Matteo Salvini è squattrinato. Per le campagne elettorali, la Lega ha tartassato i candidati e rimpinguato le casse del partito nazionale con 3,48 milioni di euro. Un obolo di 100.000 euro, però, è di Vaporart, un’azienda milanese che produce sigarette elettroniche. Il ministro Salvini ha smesso di fumare, pare, ma la Lega protegge le imprese del settore “aromatico” contro le tasse inique applicate dai governi di centrosinistra. Il primo di agosto, il Capitano ha promesso: “Entro l’estate faremo un provvedimento”.
Un mese fa, invece, Salvini ha comunicato l’attesa e lieta notizia al magazine delle sigarette elettroniche: “Ci abbiamo messo qualche settimana in più, ma ce l’abbiamo fatta”. In Parlamento, però, non è finita e i leghisti spingono a fatica l’emendamento alla legge di Bilancio. Il ministro dell’Interno ha raccolto un po’ di denaro anche con la lista “Salvini premier”: 97.000 euro, di cui 25.000 da Confagricoltura e 25.000 da Telefin. Quest’ultima è un’azienda specializzata in impianti di comunicazione ferroviaria di proprietà di Ducati Energia di Guidalberto Guidi, già vicepresidente di Confindustria e padre di Federica, ministro per lo Sviluppo economico nel governo renziano. Telefin ha coperto l’intero versante del centrodestra con 20.000 euro per Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) e 20.000 per Mara Carfagna (Forza Italia). Al contrario, la figlia si è impegnata col centrosinistra, per la precisione col Pd. Il centro di ricerche Ducati di Trento, di cui Federica Guidi è vicepresidente, ha finanziato gli ex colleghi ministri e sottosegretari uscenti Maria Elena Boschi (20.000 euro), Cosimo Maria Ferri (20.000) e Marianna Madia (10.000). Per Boschi da segnalare anche 9.000 euro da Robox di Roberto Marai.
La battaglia dei valori sovranisti di Fratelli d’Italia ha riscosso successo durante la raccolta fondi: 1,1 milioni di euro al partito nazionale, 171.000 a Roma e nel Lazio. Giorgia Meloni ha rinunciato al sempre più forte sentimento animalista e abbracciato la causa dei cacciatori. Tant’è che ha portato il capo della Confederazione delle associazioni venatorie – Maria Cristina Caretta – in Parlamento. Non sorprende che l’Associazione dei cacciatori veneti abbia scelto di premiare FdI con 70.000 euro. Non è sempre così automatico legare una donazione a una richiesta, più o meno esplicita. Per esempio, chissà perché Idroterm – che fabbrica tubi in polietilene – ha puntato 25.000 euro su Alternativa popolare, una costola del Nuovo centrodestra che fu di Angelino Alfano. Più evidente e di certo più sofferto il solito assegno da 100.000 euro – il più recente è stato registrato a ottobre – che Fininvest ha staccato per mantenere in vita Forza Italia. Per fortuna, il ricco italo-americano Lawrence Auriana ha elargito un po’ di generosità con 40.000 euro per Francesca Alderisi e 25.000 per FI. Urne infauste per +Europa di Emma Bonino, ma ottima presa sui donatori: 412.000 euro raccolti dal cartello politico, più altri distribuiti ai fedelissimi come i 260.000 euro per Benedetto Della Vedova da Peter Baldwin. Il professore americano Baldwin, come riporta correttamente il portale di +Europa, ha aiutato Bonino con oltre 1,6 milioni di euro. Più parsimonioso Diego Della Valle, patron di Tod’s, che ha versato 15.000 euro a Sandra Lonardo in Mastella, senatrice di Forza Italia. Giovanni Arvedi, il fondatore dell’omonimo gruppo siderurgico, ha donato più del triplo – 50.000 euro – all’ex sottosegretario Luciano Pizzetti.
L’ex ministro Luca Lotti s’è dovuto accontentare di una dozzina di migliaia di euro: 7.500 dai gelati Sammontana, 5.000 da Defendini Logistica. Interessante la disputa per il Pirellone. Il dem Giorgio Gori, lo sconfitto, ha rastrellato 1,35 milioni di euro e s’è pure svenato: ha finanziato se stesso con 200.000 euro, altri 200.000 li ha messi la moglie Cristina Parodi, 20.000 Ilaria Dallatana (ex socia in Magnolia e poi direttrice di Rai2) e la miseria di 9.964 euro l’ingegnere Carlo De Benedetti, ex presidente del gruppo editoriale L’Espresso (ora Gedi).
Il leghista Attilio Fontana, il vincitore, ha ricavato abbastanza dalle associazioni fondate anche attorno alla figura dell’ex governatore Maroni: 50.000 euro da Paolo Scaroni, ex presidente di Eni e ora al vertice del Milan; 50.000 dal cavaliere Domenico Bosatelli (che con Gewiss darà il nome al nuovo stadio dell’Atalanta) e 25.000 dalla Mapei di Giorgio Squinzi, ex capo di Confindustria e proprietario del Sassuolo. Bosatelli, in maniera neutrale, ha donato 50.000 euro anche a Gori. Più povera la campagna laziale.
Il comitato di Roberta Lombardi (M5S) ha incassato 41.500 euro con contributi sotto la soglia di 5.000, mentre quello di Nicola Zingaretti – per la seconda volta governatore e adesso candidato alla segreteria del Pd – s’è fermato a 27.500: 6.000 da Assomercati di Fondi e 9.500 da Paolo Gentilini, dell’omonima azienda di dolciumi. Chiude la classifica, soltanto per questioni di ordine alfabetico, l’ex capogruppo dem Luigi Zanda, che denuncia un’unica donazione: 15.000 euro dal cittadino svizzero Carlo De Benedetti.