la Repubblica, 24 novembre 2018
La dieta? Più delle calorie conta l’orologio
Non è sempre vero che uno vale uno, quando si parla di calorie. La distribuzione dei pasti durante il giorno è importante quanto la loro consistenza. Concentrare il cibo in poche ore della giornata, preferire una colazione a una cena abbondante, alternare giornate di digiuno a giornate con porzioni ricche sono alternative che – a parità di calorie – hanno effetti diversi sull’organismo.
Nonostante alcuni di questi stili alimentari siano già oggetto di marketing, la maggior parte degli studi resta ad oggi confinata agli animali di laboratorio. Nel fare il punto della situazione, in un articolo pubblicato su Science, gli autori fanno dunque la raccomandazione di non intraprendere queste diete alla leggera.«Studiamo i topi di laboratorio e osserviamo quali effetti hanno i vari tipi di alimentazione sul loro metabolismo. Vogliamo identificare nel sangue e in altri tessuti i marcatori che sono indice di buona salute. Ancora non siamo in grado di dire con certezza cosa faccia bene a noi uomini» spiega Andrea Di Francesco, laurea in biologia in Italia, oggi un posto al National Institute on Aging di Baltimora, fra gli autori dello studio di Science “A time to fast” con Clara Di Germanio.
Il messaggio di fondo, che comincia a consolidarsi dopo anni di studi, è che il digiuno allunga la vita. Ovviamente, quando non è eccessivo. Le scimmie sottoposte a restrizione calorica, per esempio, mangiavano il 40% in meno rispetto alle calorie raccomandate. Scampavano a molte delle malattie associate ai nostri stili di vita (tumori, infarti, ictus). Ma non sempre, nei laboratori, mostravano una buona salute complessiva. Decenni di esperimenti sugli animali più vari non sono giunti a conclusioni certe. E quando alcuni uomini particolarmente motivati (negli Usa esiste ad esempio la Calorie Restriction Society) hanno tentato di seguire questo regime assai vicino all’inedia, o hanno dovuto abbandonare l’impresa o hanno raggiunto una riduzione di calorie “solo” del 12%.
«Servono soluzioni alternative» spiega Di Francesco, che ha provato il digiuno intermittente (uno o due giorni a settimana con al massimo il 25% delle calorie), ma senza successo. «Non ce la facevo. Ora adotto il metodo di concentrare i pasti in dieci ore: colazione alle otto e cena alle sei del pomeriggio. Se devo uscire la sera, posticipo il pasto del mattino». Il senso è quello di costringere l’organismo ad alcune ore di digiuno, mantenendo il numero complessivo di calorie della giornata. «Che è quello che ci accadeva fino a cinquant’anni fa, prima che avessimo i frigoriferi pieni. Quando sentiva fame, l’organismo doveva funzionare al meglio per andare alla ricerca di cibo». Durante il digiuno, spiega Science, il metabolismo cambia rapidamente. Anziché consumare carboidrati, consuma grassi.
L’organismo cessa di accumulare “mattoni” per costruire nuovi tessuti e inizia a consumare quel che trova: inclusi frammenti di cellule morte e organelli diventati inutili. «E sappiamo quanto questa operazione di pulizia cellulare sia utile per invecchiare in salute» spiega il ricercatore.
Glicemia, insulina e fattori di crescita correlati si mantengono bassi, i mitocondri sono spinti a lavorare con più efficienza, l’obesità tende a ridursi e così la pressione del sangue. «Mentre aumenta la disponibilità nei tessuti di staminali» aggiunge Di Francesco. Rispetto alla restrizione calorica, studiata da decenni, la concentrazione dei pasti è “invenzione” recente e non ha ancora dati certi sull’aumento della longevità. Ma sarà più facile, vista la sua relativa abbordabilità, trovare volontari disposti a provare.