Il Messaggero, 23 novembre 2018
Una mostra su Leonardo e le stoffe
Quando progettò il maglio battiloro Leonardo non si sarebbe mai immaginato quali meraviglie avrebbe portato nel mondo della moda. Questa macchina riduceva l’oro in sottilissime lastre con cui si potevano fare borchiette, paillettes e filati, ossia quelle cascate di luce che avrebbero impreziosito abiti e accessori nei secoli a venire. Per vedere da vicino le macchine tessili che il maestro progettò durante il suo soggiorno alla corte degli Sforza a Milano dal 16 dicembre si potrà visitare la mostra Leonardo da Vinci, l’ingegno, il tessuto al Museo del Tessuto di Prato. Organizzata in collaborazione con il Museo Nazionale Scienza e Tecnologia di Milano e il Museo Leonardiano di Vinci, rientra nel calendario per le celebrazioni dei 500 anni dalla morte del Genio toscano.
MODELLI DINAMICI
«L’ingegno spiega Daniela Degl’Innocenti, conservatrice del museo di Prato è quello che Leonardo mette nell’osservare il processo di realizzazione dei tessuti di seta e di lana. Come ha fatto in molti altri campi, cerca di automatizzare i processi manuali che rallentano e complicano la filiera tessile». In mostra, oltre alle riproduzioni fedeli delle macchine, anche modelli dinamici in 3D, realizzati dal museo di Vinci, che permettono di apprezzarne i movimenti. Sempre grazie alla multimedialità sarà possibile seguire il processo produttivo della lana e della seta come se si fosse all’interno di un opificio.
Nella seconda metà del Quattrocento l’arte tessile è una delle risorse economiche maggiori per l’Italia e Firenze è uno dei poli più importanti. Leonardo ha quindi modo, passeggiando per le strade fiorentine, di osservare il lavoro nelle botteghe. In particolare il processo serico era estremamente articolato, regolamentato dall’Arte della Seta, una delle corporazioni più potenti. L’anello iniziale e finale della filiera era il mercante setaiolo che si procurava la materia prima sui mercati italiani ed esteri e riprendeva poi il prodotto finito per commercializzarlo nel mondo. In mezzo c’erano la torcitura, con passaggi da bobina a matassa e viceversa, la tintura e la tessitura. Per ogni lavorazione esistevano delle professionalità che lavoravano fra la città e il contado e questo valeva anche per la lana da cui si ricavava il panno fine, un tessuto di grandissimo pregio di cui Firenze eccelleva. La materia prima di qualità proveniva da Inghilterra, Francia e Spagna e nelle botteghe fiorentine venivano selezionati i velli migliori. Dopo essere stata lavata, passava alla filatura, all’orditura, alla tessitura e poi veniva rifinita con la follatura e la cimatura.
L’INDUSTRIA
«Leonardo continua Degl’Innocenti – conosce bene tutte le fasi di questi processi perché l’economia di Firenze si reggeva per lo più su questi prodotti. I Medici stessi diventarono banchieri proprio commercializzando i tessuti di alta gamma». Leonardo nota che nel processo ci sono dei colli di bottiglia dovuti alla ridondanza o alla lentezza di alcuni passaggi. Nasce così il binatoio che unisce due fili e li torce in contemporanea per renderli più corposi ed è dotato di un meccanismo d’arresto che blocca la macchina nel momento in cui uno dei fili si spezzi. Inventa anche un filatoio ad aletta che permette di avvolgere il filato sulla rocca in maniera uniforme. Come molte invenzioni del periodo milanese di Leonardo, anche le macchine tessili non andarono in produzione perché le corporazioni tessili le avversarono per paura di perdere posti di lavoro e quindi potere. «Certe intuizioni di Leonardo prosegue la storica – trovarono seguito soltanto nel primo 800 nella fase di proto-industrializzazione. Il tedesco Thomas Beck è il primo che comincia a ingegnerizzare i modelli di Leonardo».
LA TECNICA
A Prato saranno visibili le riproduzioni in grande scala di alcuni dipinti di Leonardo. Grazie agli ingrandimenti è possibile apprezzare l’attenzione che metteva nello studio dei tessuti e di come questi cadevano intorno alla figura. «Per la restituzione ottimale delle pieghe spiega Degl’Innocenti Leonardo ha studiato un metodo innovativo che ci viene riportato dal Vasari. Lavorava i modelli da ritrarre in terracotta e vi drappeggiava intorno i tessuti bagnati e intrisi di terra, in modo che le pieghe non si muovessero e lui avesse così tutto il tempo per ritrarre gli effetti di luce. Ritraeva poi il panneggio su una tela lino molto simile a quella del quadro definitivo usando degli inchiostri e della biacca per riprodurre i chiaroscuri delle pieghe».