Il Messaggero, 23 novembre 2018
La dynasty Torlonia in tribunale
I toni, pure quelli, sono principeschi. In punta di fioretto. Eppure la bega per l’eredità Torlonia avvampa gli animi dei protagonisti di questa dynasty in salsa romana come solo certe riunioni di condominio sanno fare. Qui i condomìni, si far per dire, sono Palazzo Torlonia, a due passi dal Cupolone, poi Villa Albani, Villa Delizia Carolina e la lista è lunga. Tutto sequestrato, insieme a migliaia di statue, marmi, opere di ogni risma, per ordine di un giudice, in attesa dell’udienza del prossimo 5 dicembre. A fare ricorso è stato Carlo Torlonia, il primogenito del principe Alessandro, morto a 92 anni nel dicembre del 2017. Ce l’ha con i suoi tre fratelli, Paola, Francesca e Giulio. Uno contro tre.
«NEGATO AL TELEFONO»Carlo ha impugnato il testamento, insieme al suo avvocato Adriana Boscagli, convinto che questa sterminata eredità – ballano 1,8 miliardi – non sia stata ripartita a dovere. E denuncia, ora anche penalmente, quelli che, a suo dire, sarebbero strani maneggi messi in atto dai fratelli prima che l’anziano principe morisse. «Firme falsificate» del padre, «conti correnti chiusi» e confuse operazioni societarie prima del decesso, «opere d’arte non rinvenute», altre statue ancora nascoste in capannoni polverosi e da lui trovate quasi per caso, dopo faticose perlustrazioni (con tanto di lucchetti sbullonati con l’aiuto di un fabbro). «Con mio padre non mi facevano nemmeno parlare al telefono», racconta sempre Carlo nel ricorso. Sospettando che il resto della famiglia volesse «vendere all’estero» parte di quella che è la più grande collezione privata d’arte al mondo. Per fare cassa, sostiene, e ricapitalizzare l’antica Banca del Fucino, in mano ai Torlonia da un’infinità di anni e che proprio in questi giorni vive una fase delicatissima, perché un altro gruppo, Igea Banca, sta trattando per acquisirla e chiede agli eredi Torlonia di ricapitalizzare, insomma di mettere svariati milioni sul piatto, per avere una quota di minoranza. «I sequestri non incidono minimamente sulla ricapitalizzazione», assicura Alexander Poma Murialdo, il figlio di Paola Torlonia che il principe Alessandro ha voluto come suo «esecutore testamentario». «La trattativa sta andando avanti», dice lui che è il presidente di Banca del Fucino, oltre che della Fondazione Torlonia (da cui Carlo lamenta di essere stato escluso).
«NON DOVEVA AVERE FIGLI»
Certo, confida Alexander mentre smonta dallo scooter davanti al quartier generale di quella che è la più antica banca privata dell’Urbe, c’è l’amarezza per la disputa famigliare messa in piazza su tutti i giornali. «Sono tutte calunnie, tutte. Le firme false? Ma se le ha autenticate un notaio! E mio nonno è stato lucido fino alla fine. Le opere da vendere per fare cassa? Falso, non c’è mai stata questa possibilità, abbiamo solo fatto un accordo con il Ministero della Cultura per realizzare alcune mostre, qui a Roma ai Musei Capitolini, e poi un paio all’estero, anche a New York. Ma non si è mai parlato di cessione, mai». Le statue nascoste? «Mai nascoste, erano sistemate in alcuni depositi che sono diventati laboratori, per i restauri, niente di segreto». La verità, dice lui, «è che mio zio Carlo mi sembra mosso solo dall’astio, dal rancore, avrebbe voluto avere tutta l’eredità per sé, a partire da Palazzo Torlonia», il gioiello rinascimentale in via della Conciliazione, dove ormai non abitava più, «ma gli abbiamo fatto comunque tenere lì la residenza. Pensi che a mio nonno lo diceva pure: non dovevi avere altri figli... Per dire come ragionava. Ma alla fine, sono convinto, avremo giustizia».
Dice lo stesso Carlo Torlonia: «Avrei preferito non essere costretto a ricorrere ai tribunali, ho dovuto farlo per reagire a condotte e comportamenti che mi hanno danneggiato. E a oggi le prime quattro sentenze, quattro, mi hanno dato ragione. Anche il sequestro giudiziario che è appena stato concesso dal giudice ha evidentemente riconosciuto – sostiene – il buon diritto delle mie doglianze, che sono tutte supportate, ci tengo a chiarirlo, da documenti». Anche il rischio della vendita delle statue, dice, «è nella documentazione processuale americana non è certo frutto delle mie affermazioni o di semplici timori. È tutto dimostrato. Quelle statue sono un patrimonio dei Torlonia, di cui io sono il primogenito, oltre a essere un patrimonio di inestimabile valore storico e culturale che spero di riuscire a salvaguardarle». Si dice dispiaciuto, Carlo. «È orribile quanto sta succedendo, si poteva evitare».