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 2018  novembre 23 Venerdì calendario

Intervista a Carlo Torlonia

Carlo Torlonia è il nuovo principe della casata dopo la morte del padre Alessandro, un anno fa. Una proverbiale riservatezza, tanto che non si conoscono sue fotografie pubbliche. «E preferirei continuare così», dice. Anche se oggi eccezionalmente accetta di parlare dopo che la storia della lite ereditaria di famiglia è apparsa sulle prime pagine dei giornali.
Allora principe questa diatriba ereditaria milionaria riguarda gli interessi della sua famiglia, ma anche una collezione di marmi considerata tra le tre più importanti al mondo che, se mi permette, deve essere considerato anche un bene dell’umanità.
«È uno dei motivi che mi ha spinto ad agire. Io ho e sento una responsabilità verso il mio cognome per quello che ha rappresentato almeno fino a tre generazioni fa. E sono molto dispiaciuto nel dover ammettere che forse mio padre è stato un po’ disattento rispetto alla conservazione e alla gestione dei capolavori ricevuti in eredità». 
Quella che lei fa è una critica severa a suo padre, il principe Alessandro...
«No, sono obiettivo. Come tutte le persone ha avuto pregi e difetti. Difatti posso anche dire che come banchiere è sempre stato serio e responsabile e che non avrebbe mai permesso il crearsi della situazione che si evidenzia oggi in Banca del Fucino dove gli sono stato a fianco per decenni».
A proposito di Banca del Fucino mi risulta che esistono delle denunce firmate da lei per alcune firme di suo padre che non sarebbero autentiche. Una vera guerra in famiglia.
«Purtroppo è vero. Ma se ne sta occupando il professor Franco Coppi e preferirei, come lui mi suggerisce, non invadere il lavoro degli inquirenti».
Torniamo alle statue. Questa magnifica collezione è scomparsa dagli Anni 60. Il Museo a via della Lungara divenne un condominio di mini-appartamenti e le statue conservate nei sotterranei. Lei ha espresso il desiderio di esporle in un museo che porti il nome dei Torlonia. Perché non è ancora accaduto?
«Questo è stato un tentativo di accordo non recepito dai miei fratelli».
Dalle carte si legge che i suoi tre fratelli fanno parte di una Fondazione senza di lei. Fondazione a cui sono state fatte confluire in comodato tutte le opere d’arte in possesso delle famiglia, non solo le statue. Perché è stato escluso?
«Ancora me lo sto chiedendo. E mi stupisce visto che quello che è accaduto va molto oltre le normali incomprensioni, anche generazionali che ci sono in tutte le famiglie». 
Sembra ci sia dell’astio.
«L’astio non può giustificare il dolo. Certamente il fatto che questa Fondazione sia stata attivata sei mesi prima della morte di mio padre mi fa pensare, anche perché ho scoperto solo in questi ultimi mesi che dal 2013 mio padre si era ammalato gravemente».
Lei ha temuto che alcune di queste opere d’arte potessero essere vendute all’estero? I suoi fratelli però lo negano.
«Grazie a una ricerca internazionale avviata dal mio avvocato Adriana Boscagli sui beni di famiglia siamo incappati in un procedimento internazionale dove sono state raccolte testimonianze che hanno affermato il tentativo di cessione della collezione Torlonia al Museo Getty e al Trust Getty. E abbiamo scoperto alla lettura degli atti che mio nipote Alexander Francis Poma Murialdo, che è anche il presidente della Banca del Fucino, sarebbe stato fisicamente a Los Angeles in data accertata per parlare con quelli del Getty. Pensi che gli intermediari dell’affare, querelanti del processo americano, sembrerebbe abbiano lamentato il mancato introito di 77 milioni di dollari solo di mancate provvigioni. Cifra che rappresenterebbe il 22 per cento del valore minimo di stima del prezzo che doveva pagarsi come corrispettivo».
Quindi 350 milioni di dollari
«Esatto. Ma la stima vera supererebbe, secondo quanto si legge nelle carte americane, i 550 milioni di dollari».
Nell’ordinanza del giudice Vallillo si fa riferimento anche a operazioni societarie che farebbero confluire in Banca del Fucino beni dell’asse ereditario diversi dalle statue. Mi spiega meglio questo passaggio?
«Ci sono già quattro sentenze del Tribunale di Roma che hanno riconosciuto e sanzionato comportamenti a mio danno». 
Soldi che dovevano servire a ripianare la situazione della Banca del Fucino?
«Non mi faccia dire altro».
Come finirà questa guerra?
«Che vuole che le dica? Mi auguro con un accordo».