L’amica geniale, dai best seller di Elena Ferrante, dopo l’anteprima veneziana e l’uscita nelle sale, arriva da martedì su Rai 1 (on line su RaiPlay) e su TimVision. Il mondo di Ferrante diventa reale per milioni di lettori/spettatori. Saverio Costanzo, 43 anni, zuccotto di lana calato nel chiuso di un salottino Rai, lo sa. Coltiva l’ironia in cui mescola giudizio e affetto, ma di una cosa è certo: «Vivo L’amica geniale come un film. Poi si deve chiamare serie, ma per me è un film in 32 parti».
I critici americani hanno parlato di neorealismo, l’epopea delle due piccole grandi donne è stata letta come un riscatto, nell’anno del #MeeToo. Che effetto fa?
«Mi dà soddisfazione che abbiano colto l’onestà del nostro approccio. Con una produzione gigantesca la cosa più difficile è stata continuare a lavorare come artigiani, che poi è quello che sappiamo fare. E infatti le parole che ricorrono più spesso negli articoli sono: sincerità, tenerezza, umiltà».
Cosa è stato più difficile?
«Tante cose. Ricostruire un mondo che non c’è, lavorare con bambine e ragazzine non professioniste in una produzione per cui c’era un’aspettativa altissima. Tutto questo fa tremare i polsi ma non ho avuto paura perché il privilegio di mettere in scena una storia così bella ripaga di tutto».
Colpisce come abbia saputo parlare di donne.
«Sono stato formato e educato da femmine, ho sempre vissuto dentro un mondo femminile imponente, qualche volta presuntuosamente ingombrante. Per me è più naturale lavorare con eroine piuttosto che con eroi».
Considera la maestra Oliviero (Dora Romano), eroica?
«È il motore della storia. Ha un’ostinazione, una passione per il suo lavoro che dà davvero l’impressione che la scuola possa cambiare il mondo… E mi ha stupito perché avevo sottovaluto la potenza di questa figura, invece è emozionante cosa riesce a fare per le bambine. Ti fa dire: è quello che serve per salvarci. È miracolosa perché riesce a rendere sentimentale la politica».
Lila lavora nella bottega del padre calzolaio, frequenta la biblioteca e spiega a Lenù il metodo per studiare il latino.
«Parlare oggi in prima serata di complemento oggetto, si rende conto? È fantastico».
La serie, o meglio, il suo lungo film, andrà in tv: luce accesa, gente che parla, il telefono squilla. Cosa prova?
(Ride) «Sono le regole del gioco. Viviamo in un tempo in cui la soglia dell’attenzione è molto bassa, ed è il film che si deve difendere. La colpa è sempre del film che deve prendersi l’attenzione. La tv è un elettrodomestico ma non mi sono dedicato a questo lavoro pensando di “ fare qualcosa per la tv”, ma pensando al cinema».
Com’è stato il rapporto con Elena Ferrante?
«Professionale. Abbiamo cercato di disturbarla il meno possibile; il suo romanzo era già il 95% del lavoro, il resto potevamo farlo noi. È stato un arricchimento, ho ancora tantissimo da imparare. Ha un grande istinto per la scrittura cinematografica. Il nostro è stato un carteggio ottocentesco, ci diamo del lei».
Il rione Luzzatti è una scena teatrale, ma vede “L’Amica geniale” come un western: può spiegare meglio?
«Abbiamo pensato al western immaginandoci questo luogo con niente intorno, come fossimo stati nel New Mexico, con due bambine che camminano su una strada sterrata. La dimensione teatrale è quella propria del cinema. Le grandi scene, quando c’erano i soldi, erano sempre ricostruite. E datano anche l’epoca: il quartiere cambia, vedendolo dopo risulterà uno spazio della memoria».
La saga continua: quando tornerà sul set?
«A marzo».