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 2018  novembre 23 Venerdì calendario

Elena Cattaneo spiega perché è contro il biologico

Ho letto con interesse L’Amaca di Michele Serra del 21 novembre, che invitava a essere “resilienti, umili, disposti all’ascolto”. È proprio quello che cerco di fare ogni giorno.Non sono direttamente coinvolta (come nessuno dei miei familiari), né come ricercatrice, né come operatrice del settore, nel tema dell’agricoltura integrata o biologica, ma studio (molto) l’argomento e ritengo che rappresenti una delle grandi sfide scientifiche, politiche ed economiche dei prossimi decenni. Per questo, da quando il presidente Giorgio Napolitano ha voluto onorarmi della carica di senatrice a vita per meriti scientifici, essendo chiamata a riflettere e, in Parlamento, decidere responsabilmente sulle questioni dirimenti per il futuro del Paese, raccolgo dati, analisi e studi sull’argomento. Lo faccio, appunto, ascoltando: negli ultimi mesi, nel mio ufficio in Senato, sono venuti a condividere il loro sapere agronomi, ricercatori di biotecnologie, imprenditori agricoli, giuristi, professori e coltivatori.
Ho scelto di rivolgermi a interlocutori autorevoli per imparare da chi ha esperienza “sul campo”, in modo da arrivare a costruire un corpus di conoscenze “laiche” sulla materia, al di fuori delle narrazioni glamour di chi non ha mai sofferto la fame e, avendo interessi commerciali ( anche legittimi) da difendere, alimenta fake news nei confronti della “concorrenza”, come quella per cui le piante geneticamente migliorate o “la chimica” ( tout court) farebbero male alla salute o all’ambiente.
Ascolto gli agricoltori che lavorano nei campi per rifornire ogni giorno gli scaffali dei supermercati di più varietà e abbondanza di cibo di quanta i nostri nonni abbiano mai visto in tutta la loro vita, e si sentono accusare, per ragioni di marketing, dal jet set del biologico e del biodinamico di “inquinare il mondo” e di attentare alla salute dei consumatori. Facendo credere al contempo che i pesticidi “biologici”, come il rame, non inquinino.
Ascolto gli allevatori costretti a importare ogni anno migliaia di tonnellate di mais e soia Ogm ( perfettamente sicuri per uomo e ambiente, secondo i dati scientifici disponibili) prodotti all’estero, per fornire la materia prima per i prestigiosi salumi e formaggi Dop del Made in Italy. Commodities Ogm, di cui una legge ipocrita vieta la coltivazione ma non l’importazione, e di cui la nostra filiera agroalimentare non può fare a meno, pena la paralisi. Alla faccia del Paese dichiarato “Ogm free” dallo scorso ministro delle politiche agricole.
Ascolto gli studiosi dei nostri centri di ricerca, le cui ricerche su biotecnologie vegetali – che sarebbero in grado di ridurre o eliminare la necessità di cospargere i campi di pesticidi ( biologici o di sintesi) e preservare la biodiversità – sono chiuse da anni nei cassetti. Un divieto di fatto, ma non di diritto, è infatti imposto alla ricerca pubblica da governi d’ogni colore, tutti d’accordo nel bloccare l’avanzamento della conoscenza scientifica in un settore in cui, invece, il Paese avrebbe un vitale bisogno di innovazione.
Ascolto gli imprenditori che vorrebbero puntare sull’efficienza della produzione agricola integrata, per poter produrre più cibo per ettaro, di qualità sempre migliore, in maniera sempre più sostenibile, ma invece si ritrovano, a causa di politiche di incentivi che rendono conveniente l’ “inerzia agricola” in nome dell’ “antico è bello”, a trasformarsi in “contabili di sussidi” stretti nella morsa della burocrazia dei certificati.
Ascolto gli oltre 100 professori del Politecnico di Milano che, mentre il mondo della ricerca italiana è sempre più in difficoltà per scarsità e incertezza di risorse, si ribellano nel veder ospitare nella loro autorevole istituzione scientifica la pseudoscienza biodinamica, genuflessa ai suoi “princìpi agricoli” che, oltre a utilizzare le pratiche proprie di ogni sana agricoltura (integrata o biologica), ha come specificità l’uso di preparati a base di fecondazione cosmica, vesciche di cervo e cornoletame (e il corno, precisiamolo, deve derivare “da una vacca che abbia figliato almeno una volta”). Colpisce anche che l’agricoltura biologica senta di dovere andare a braccetto con le pratiche esoteriche.
Queste sono le persone che io ascolto con umiltà e rispetto, queste sono le voci che non trovano nessuno spazio nelle narrazioni bucoliche ed elitarie prevalenti nel mainstream giornalistico. Spiace osservare come questo approccio sia vissuto come un “attacco” da “professionisti della narrazione” che si pongono, in altri settori, come alfieri della lotta alle fake news, ma poi tacciono sul fatto, ad oggi scientificamente incontrovertibile, che non è l’agricoltura biologica ( né tanto meno la biodinamica) la via per la sostenibilità: se dovessimo tutti nutrirci di biologico, considerate le basse rese, dovremmo disboscare un altro pezzo di mondo, e ancora non basterebbe.
Ecco, sarebbe bello se, su un giornale “umile, resiliente e disposto all’ascolto” come Repubblica, si potesse leggere la testimonianza di qualche imprenditore agricolo che deve confrontarsi con la resa di prodotto per ettaro, coi parassiti e con le erbe infestanti, o una franca analisi della bilancia agroalimentare di un comparto che da decenni non innova, e promuovere un dibattito sulla sostenibilità dell’agricoltura e su tutte le tecnologie che possano aiutare a raggiungerla. Un dibattito nuovo, finalmente basato su dati e fatti scientifici verificati e su un approccio non ideologico.