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 2018  novembre 23 Venerdì calendario

Il prof che insegna Economia della felicità all’Università

Questa mattina, vestito di chiaro, il professor Sandro Formica, 55 anni, inaugurerà all’Università di Palermo il Master di Economia della felicità. Il primo esempio di insegnamento accademico del benessere interiore. Le lezioni di felicità nelle ultime stagioni hanno collezionato “sold out” negli atenei di Harvard e Yale: «Accade quando trasformi lo studente in protagonista».
Insegnare felicità, applicata al mondo del lavoro, mette responsabilità sul docente. Ci racconta chi è, professore?
«Sono nato a Perugia, figlio di un albergatore che ha inventato il logo “L’Umbria ha un cuore verde”. Sono stato tra i più giovani direttori d’hotel in Italia. Ho chiuso gli esami a Legge da fuoricorso discutendo una tesi sulle norme degli agenti di viaggio. Voto basso. Di tutto quello che ho studiato a Giurisprudenza non ricordo più niente».
Quando si avvicina ai nuovi studi: la felicità in azienda.
«A una fiera alberghiera, fine anni Ottanta, conosco alcuni professori americani. Mi innamoro di quella cultura e decido di partire per gli Stati Uniti e all’Università Virginia Tech mi specializzo in ospitalità e turismo. Poi il Dottorato, stesse discipline, voti decisamente più alti. Al ritorno a Perugia ho chiesto a mia madre: “Sei soddisfatta di me?”. Mi ha dettto: “Sì, certo, ma il livello culturale di tuo padre è insuperabile”. Avevo vissuto la prima parte della mia vita cercando di essere accettato dalla famiglia. A 37 anni non sapevo chi ero»
Dopo i 37 anni?
«Sono andato a insegnare turismo alla Temple University di Philadelphia, due anni a Parigi con la prestigiosa Cornell. Nel 2008 mi sono trasferito alla Florida International University, le idee chiare. Chiedo di tenere un corso di Dottorato: “Gestisci te stesso, gestisci gli altri”. Ho convinto il Senato accademico. Ne avvio un secondo, molto spinto sulla scienza del sé: “Potere personale”. È diventato il corso facoltativo più popolare dell’ateneo».
La felicità in azienda è materia che si può insegnare?
«Steve Jobs, a modo suo, l’ha fatto. Dalla prima elementare all’università impegniamo ventimila ore su discipline al di fuori di noi e neppure un’ora su noi stessi. Chi non ha coscienza di sé difficilmente avrà successo. La forza interiore può diventare un modello educativo da passare agli studenti e trasferire in azienda».
L’aziendalizzazione dell’università italiana.
«Non è un male. Negli Stati Uniti il rapporto tra accademia e lavoro è naturale, da noi, purtroppo, l’insegnamento mostra tutti i suoi limiti. Tanta teoria, lezioni frontali, uso della memoria per superare un esame. No, serve protagonismo dello studente e una didattica basata sulla vita. Nelle mie lezioni lo speech del professore è un quinto del totale, il resto sono esperienze individuali e collettive degli studenti. Si raccontano, insegno loro a guardarsi dentro. Le tesi sono autobiografie. Quando in aula abbassiamo le luci e impariamo a espellere le energie negative, a dare e ricevere ringraziamenti, i ragazzi iniziano a piangere».
Lacrime collettive. I suoi corsi sembrano training aziendali guidati da un guru.
«Non mi offende il paragone con le aziende: voglio essere un ponte, nel Paese che mi ha formato, tra università e realtà lavorative positive dove il pensiero dell’amministratore è in sintonia con quello dei suoi collaboratori. In Italia i datori di lavoro non conoscono chi hanno intorno».
Con quanti studenti parte, questa mattina, il Master di Economia della felicità?
«Centocinquanta post-laureati di tre dipartimenti, poi continueremo con venticinque. Il prossimo anno avvieremo due corsi di studi, uno in italiano, uno in inglese».
Alla fine è riuscito a superare in cultura e successo suo padre?
«Ho trovato me stesso e ho capito che non era così importante».