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 2018  novembre 23 Venerdì calendario

La melodia del futuro secondo Jean-Michel Jarre

PARIGI «Da buon latino ho sempre pensato che la cosa più importante nella musica fosse la melodia. Mi sono accostato all’elettronica da ragazzo. Mentre suonavo rock mi sono iscritto al laboratorio sperimentale “Gruppo di ricerca musicale” di Radio France. Mi ricordo una lezione del compositore Yannis Xenakis, che disse “nella musica quel che deriva dall’emozione è sospetto”. Era l’opposto di quello in cui credevo. Lasciai l’avanguardia e mi avvicinai al pop».
Nei cinquant’anni successivi Jean-Michel Jarre ha venduto 80 milioni di dischi, si è esibito in concerti all’aperto davanti a folle immense dal Cairo a Hong Kong, ha influenzato generazioni di musicisti non solo francesi, dai Daft Punk ai Massive Attack. Stasera sarà a Milano per la Music Week, lo abbiamo incontrato a Parigi prima della partenza per parlare della sua lunga carriera e del nuovo album «Equinoxe Infinity», «una specie di colonna sonora per il futuro».
Quando ha avuto la certezza di avere una carriera come musicista?
«Mai, e ancora oggi a 70 anni mi accosto a ogni progetto come un debuttante. All’esame di maturità feci il tema su Nietzsche e il suo”Non è il dubbio ma la certezza a rendere pazzi”, e quella frase mi ha seguito. Certo, il successo con “Oxygène” cambia la vita. Al mio primo concerto vennero un milione di persone, rimasi sotto choc per un anno».
Che rapporto c’è tra gli album e la loro versione live?
«Quando registro non penso mai alla versione live, ma mi sono posto il problema di portare quella musica in scena in modo attraente. Gli strumenti tradizionali, dal violino alla chitarra elettrica, nascono per la condivisione con il pubblico, e poi vengono registrati. Nella musica elettronica accade il contrario. E quando si vede una tromba si sa che cosa uscirà da quello strumento, nella musica elettronica no, allora bisogna ricorrere a qualcosa d’altro».
Per questo ha inventato strumenti come l’arpa laser?
«Sì, è un modo per dare una dimensione anche visiva alla musica A ogni raggio laser corrisponde una nota, che io suono usando guanti per non danneggiare la pelle».

Da dove le arriva questa passione per la tecnologia?
«Forse da mio nonno, ingegnere e inventore di una delle prime console di missaggio per la radio. La tecnologia è sogno, fascinazione per il futuro. Io sono cresciuto nell’era di “2001 Odissea nello spazio” e dell’uomo sulla Luna, nei primi anni Duemila la speranza ha lasciato il passo al pessimismo. Adesso torna l’idea dello spazio come salvezza, un film come “Interstellar” lo racconta benissimo».
Chi l’ha influenzata di più?
«Mi piace ricordare Kubrick, Fellini e Nino Rota. Kubrick per “2001”. Fellini perché mi disse due cose decisive: che un artista declina sempre la stessa idea, e che lui odiava il mare reale, ma amava quello ricreato in studio con i teli e i ventilatori. Questo è fondamentale per la mia musica: i suoni della pioggia e del vento sono la mia visione poetica di quei fenomeni naturali. E poi Nino Rota perché era un genio, come Mozart. Quando Nino Rota morì Fellini mi propose di fare una colonna sonora, e io commisi la sciocchezza di rifiutare».

Come mai?
«Un po’ perché le colonne sonore erano il dominio di mio padre Maurice, con il quale ho avuto un rapporto complicato, o meglio una mancanza di rapporto. E poi perché non mi sentivo capace di concepire una sola nota dopo quel che Nino Rota aveva fatto per Fellini».
Perché le due copertine?
«Volevo dare due immagini del futuro, una positiva e una negativa. “Equinoxe Infinity” è la nuova versione, 40 anni dopo, di “Equinoxe”, che aveva una bellissima immagine di Michel Granger con questi misteriosi watchers che ci guardano. Ho ripreso gli stessi personaggi nelle due copertine che ho commissionato a Filip Hodas, un artista ceco trovato su Instagram».
Lei quale preferisce?
«Sono convinto che sopravviveremo solo unendo ambientalismo e nuove tecnologie. Sono ottimista per reazione alla visione catastrofista».