Corriere della Sera, 23 novembre 2018
Lo scultore dei soldatini
«Ragazzo, hai 100 lire? Ecco le nostre novità per te». A rammentargli questa réclame dei soldatini Atlantic che negli anni Settanta, da Topolino all’Intrepido, furoreggiava su ogni fumetto, lo scultore Domenico Greco sorride. «Come posso non ricordarla? Io quei soldatini li scolpivo, credo ci abbiano giocato almeno due generazioni di bambini italiani» racconta orgoglioso il Maestro, 72 anni, origini calabresi ma da sempre residente a Milano. Il suo studio è in via Bramante, nei pressi di via Paolo Sarpi. Vi si può entrare da un cancello difficile da scorgere nel susseguirsi di negozi cinesi e «proprio in questo laboratorio, poco dopo il 1970, passò a trovarmi Sandro Compagnoni». Un nome che forse dice poco, ma quelli che veleggiano sui cinquant’anni devono a questo imprenditore le interminabili battaglie con i soldatini nei pomeriggi dopo la scuola.
Assieme a un amico, Pietro Guerra, Compagnoni fondò l’Atlantic, quella dei bersaglieri, alpini, paracadutisti, avieri e marinai d’Italia. Scatole inizialmente piuttosto naïf ma che ben presto divennero curate in ogni dettaglio storico. Con il corollario di infinite polemiche arrivò la celebre serie intitolata «Le rivoluzioni» dove finirono insieme ai soldatini le miniature di Lenin, Mao, Mussolini e Hitler. Poi la fantasia al potere: aerei, plastici, il «Giocagol» (parente povero del Subbuteo). E quelle opere passate tra le mani di Greco: dalla serie degli antichi egizi – giudicata la più bella sotto il profilo artistico – fino a quelle western. Infine gli «astrali» – come li definisce lui – che per protagonisti avevano Capitan Harlock e Goldrake, i seguitissimi protagonisti dei cartoni animati giapponesi che all’epoca andavano in onda sul secondo canale Rai. Queste due ultime collezioni furono «il canto del cigno dell’Atlantic. Dopo l’ingresso negli anni Ottanta, i bambini smisero di giocare a soldatini. Preferivano i primi videogiochi». La ditta, che intanto si era fatta apprezzare dall’Europa agli Usa, chiuse i battenti.
Il Maestro prosegue con un flashback: «Compagnoni aveva sentito parlare di me, non so da chi, forse dalla moglie che aveva un negozio di giocattoli in via Sarpi. Io ero poco più che ventenne e realizzavo statue per i presepi. Chiese se volessi dedicarmi ai soldatini e risposi di sì. Non era proprio il mio lavoro, ma avrei fatto un tentativo. Un po’ mi vergognavo e all’inizio non dissi nulla della nuova attività ai colleghi con cui la sera parlavamo di Michelangelo e Canova. Però mi piaceva. E Compagnoni pagava bene».
Pronti, via: scalpelli e lame del Maestro – autore di monumenti ai caduti in diverse piazze italiane – cominciano a modellare cera che si trasforma in archi, lance, elmi, Colt e Winchester, barbe e petti nudi. Poi le tute spaziali di Actarus e Alcor, le uniformi galattiche dell’equipaggio dell’astronave di Harlock.
Le «statuette» – di una ventina di centimetri – uscite da via Bramante erano soltanto il primo dei passi che avrebbero portato i soldatini dentro le scatole. Il seguito riguardava solo indirettamente Greco che inviava le sue opere con un corriere a Treviglio, nella Bergamasca, dove l’Atlantic aveva la produzione. «Qui i modellini venivano avvolti in gusci di araldite, una specie di resina molto dura e resistente – prosegue —, da cui veniva prelevato lo stampo, una vera e propria “impronta” che poi passava alla lavorazione con il pantografo, strumento meccanico di precisione che consentiva di “riprodurre” questi gusci riducendoli nelle scale 1:32 o 1:72». Erano quelle «con cui i bambini identificavano dal giocattolaio i soldatini piccoli e quelli grandi. Un’attenta lavorazione tridimensionale – oggi sostituita dalle stampanti elettroniche – cui seguiva la produzione in migliaia di pezzi.
Dopo la chiusura dell’Atlantic Greco non ha smesso di scolpire: ha lavorato per «altre celebri ditte, Esci, Italeri, Waterloo 1815. Ma sono serie rivolte agli adulti, ai collezionisti». E i bambini degli anni Settanta? «Lo confesso: quand li vedevo giocare con i miei soldatini mi fermavo per dire: “Sapete, quelli li ho scolpiti io. Che emozione...».