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 2018  novembre 23 Venerdì calendario

Biografia di Paola Cortellesi

Paola Cortellesi, nata a Roma il 24 novembre 1973 (45 anni). Attrice. Comica. Sceneggiatrice. Cantante. Tra i principali riconoscimenti, un David di Donatello alla miglior attrice protagonista per Nessuno mi può giudicare (2011) e un Nastro d’argento alla miglior attrice in un film commedia per Come un gatto in tangenziale (2018). «Lungi da me il paragonarmi, però nel mio piccolo cerco di ispirarmi a monumenti come Anna Magnani, Monica Vitti e Franca Valeri. Cambiare generi e ruoli è una continua rigenerazione: l’unica possibilità per non rimanere ingabbiati, per continuare a crescere» (a Laura Rio) • Ultima dei tre figli di una famiglia borghese «bellissima, solida». «Ero il giocattolo di mia sorella e di mio fratello, più grandi di me. Io non ero una che si trastullava con le bambole, ma un maschiaccio di periferia. Scorrazzavo in bicicletta, stavo in porta pur di giocare a pallone con mio fratello. E, quando qualcuno mi faceva arrabbiare, picchiavo…». «La sua famiglia è romana? "Da parte di papà, verace. Venivano dal centro, piazza Navona, quando era il cuore popolare. Poi si sono spostati in periferia, dove sono cresciuta io. Invece mamma è nata in Abruzzo, in provincia di Teramo, ma anche lei dice: "Nì, che stai a fà?". Una donna tutta curve, non c’entra niente con me: quella che a Roma viene definita ‘una bella ciaciona’". […] Paola bambina dove abitava? "Lontano dal centro. A Massimina, tra Malagrotta e Boccea. Frequentavo anche dei brutti ceffi, che dovevano passare il vaglio di papà: "Chi è? Che fa?". Si presentavano male, ma non bisogna fermarsi alle apparenze"» (Silvia Fumarola). «“Sono stata una ragazza-tuta, e delle peggiori. Sai l’acetata che andava tanto negli anni ’70? L’avevo sempre addosso, perché facevo tanti sport e sopra mi infagottavo con questo parka informe, insensibile alle preghiere di madre: “Paola ti prego, togliti il cappuccio…”» (a Eva Grippa). «Ero una ragazzina magra magra e lunga lunga, senza difetti imbarazzanti, eppure provavo vergogna del mio corpo. Quanto tempo sprecato a dannarmi». «“Alcuni compagni di classe alle medie mi prendevano in giro. Erano sempre pronti a dirmi che ero sbagliata, proprio come mi sentivo. Riservata, timida, davo del lei: devo essere sembrata un tipo ‘strano’. A ricreazione ci scappava il dispetto, lo spintone, lo schiaffo, mentre io avrei solo voluto divertirmi. Me li ricordo benissimo, quei momenti. Succede. Sempre, ancora, in ogni zona e ambiente. Con epiloghi spesso tragici e insensati”. Ne parlò con i suoi? “Sì. Avevo la fortuna di una famiglia forte e coesa. In quel periodo i miei fratelli maggiori mi sostennero molto, insegnandomi che il rispetto degli altri non deve mai far dimenticare se stessi”» (Lavinia Farnese). «Ho studiato al liceo scientifico Malpighi, a Monteverde: prendevo due o tre autobus per arrivare a scuola. Ma la mia prima formazione artistica è stata dentro casa. Mamma e papà ci portavano a teatro, ci facevano vedere tanti film quando ero piccola. Da I cannoni di Navarone a Woody Allen a Risate di gioia, C’eravamo tanto amati, Lo scopone scientifico. Quando vedevo il film di Comencini mi commuovevo: Bette Davis così ricca, potente, e Sordi che era un disgraziato… Tifavo per lui». Concluso il liceo (dopo una bocciatura a causa delle sue carenze in matematica e fisica: «Fu una tragedia… Avrei dovuto fare il classico»), s’iscrisse a Lettere, abbandonandola dopo sei esami per il teatro. Nel frattempo, infatti, aveva iniziato a muovere i primi passi nel mondo dello spettacolo. Appena tredicenne, grazie al compositore e paroliere Claudio Mattone, amico di famiglia, esordì nella trasmissione televisiva di Renzo Arbore Indietro tutta, cantando Cacao Meravigliao. «Io conoscevo Claudio Mattone, autore di pezzi meravigliosi che però collaborava anche con Renzo Arbore. Io ero piccolina e li conoscevo per amicizie familiari, ed ero un po’ diventata la loro mascotte: scherzavo, ridevo, e poi ho cominciato a fare le imitazioni… In quel periodo vedevo Indietro tutta perché mi piaceva, e loro cercavano una che fosse italiana e che cantasse in finto brasiliano. Allora Claudio mi ha detto: "Ma perché non provi tu?". Così ho iniziato a fare cori e coretti con loro, e varie sigle tv. Io comunque facevo i compiti, studiavo. Mia madre mi diceva: "Quando hai finito i compiti…"». Poco dopo, formò insieme ai suoi amici alcuni piccoli gruppi musicali (Casa Padula, «cover rock ma anche pop, un po’ di tutto e cose anni ’80, cioè roba che nei locali la gente andava a ballare»; I Peccati Originali, «rhythm & blues, tre fiati, tre cantanti, un batterista, un bassista, un chitarrista che cantava anche»), con cui si esibì per qualche anno nei locali della capitale, prima di iniziare a cantare nei piano bar. «Ero una cantante, ma non avevo il “sacro fuoco”, ero riservata. Invece, a recitare mi sentivo libera» (a Cristina Lacava). «Finito il liceo, ho cominciato a fare una scuola di teatro, con Beatrice Bracco, un’insegnante argentina, e ho conosciuto lì quelli che sono ancora adesso i componenti della mia compagnia: Claudio Santamaria, Libero De Rienzo, Furio Andreotti…». «Creammo una piccola compagnia teatrale, si chiamava Compagine». «Sperimentavamo, in cantina. Eravamo attori e tecnici. Ci auto-producevamo. Costo: zero. Tanto che, al primo spettacolo che invece mi produssero, al Teatro della Cometa di Roma, ero lì che montavo luci, con i chiodi in mano per fissare le quinte. Mi presero da parte e mi dissero: “Vuole sedersi?”. S’intitolava Cose che capitano». Dopo aver partecipato nel 1997 allo spettacolo teatrale L’uomo che inventò la televisione con protagonista Pippo Baudo («Andò malissimo, però io mi sono divertita un sacco»), fu notata da due autori televisivi, grazie ai quali ritornò sul piccolo schermo, impersonando «l’argentina» nella trasmissione Macao (Rai Due), diretta da Gianni Boncompagni e condotta da Alba Parietti. «A me Macao non piaceva tanto, ma lì ho imparato un sacco di cose, perché si registravano tre puntate al giorno, e io ho cominciato a scrivere da sola, cosa che non avevo mai fatto: se fai il cabarettista devi avere un repertorio, mentre se fai l’attore normale no. Poi ho iniziato a lavorare con Enrico Vaime e con Fabio De Luigi alla radio. E lì con Vaime, che è un grandissimo autore, ho imparato davvero a scrivere. Poi mi chiamò Serena Dandini, che mi aveva sentito in radio, e mi portò a Teatro 18, dove feci le prime caratterizzazioni: Asia Argento, Melba Ruffo… Nel frattempo avevo inviato una mia videocassetta alla Gialappa’s, che mi piacevano tantissimo, e loro mi avevano richiamata e mi avevano voluta conoscere: così, finito Teatro 18, sono andata a lavorare con loro». Con la Gialappa’s Band iniziò nel 2000 una lunga collaborazione, che – dapprima in Mai dire Gol, poi in Mai dire Grande Fratello, Mai dire Domenica, Mai dire Lunedì – la consacrò definitivamente come attrice comica (particolarmente acclamate, tra le altre, le imitazioni di Letizia Moratti e Daria Bignardi), decretandone il grande successo di pubblico e critica. Al 2000 risale anche il suo debutto cinematografico, con una piccola parte al fianco di Aldo, Giovanni e Giacomo in Chiedimi se sono felice. Da allora ha continuato a dividersi fra televisione, cinema e teatro, variando abilmente ruoli e registri: tra l’altro, la co-conduzione del 54° Festival di Sanremo (Rai Uno, 2004) al fianco di Simona Ventura, l’interpretazione di Maria Montessori nello sceneggiato televisivo Maria Montessori – Una vita per i bambini (Canale 5, 2007), la partecipazione in veste di imitatrice a Parla con me (Rai Tre, 2008), la co-conduzione di Zelig (Canale 5, 2011-2012) al fianco di Claudio Bisio e di Laura & Paola (Rai Uno, 2016) al fianco di Laura Pausini; i ruoli cinematografici in A cavallo della tigre di Carlo Mazzacurati (2002), Tu la conosci Claudia? di Massimo Venier (2004), Due partite di Enzo Monteleone (2009), Maschi contro femmine di Fausto Brizzi (2010), Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno (2011), Sotto una buona stella di Carlo Verdone (2014), Meraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani (2015), Qualcosa di nuovo di Cristina Comencini (2016); l’interpretazione teatrale de Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno (2005-2007), dramma sul precariato di grande successo (189 repliche, oltre 250 mila spettatori) «in cui dava voce a sette personaggi, compreso il bambino che portava in pancia, il quale nella “nottataccia” in cui si svolgeva l’azione decideva, intempestivo, di venire alla luce» (Paola Piacenza), poi riscritto per l’omonima pellicola cinematografica diretta dallo stesso Bruno nel 2011, con la Cortellesi nella duplice veste di attrice e co-sceneggiatrice. Negli ultimi anni, infatti, insieme al marito, il regista e sceneggiatore Riccardo Milani, e agli storici collaboratori Furio Andreotti e Giulia Calenda, si è felicemente cimentata anche nella sceneggiatura cinematografica, cominciando con Scusate se esisto! di Milani (2014) e ottenendo poi ottimi riscontri nel 2017 con le commedie Mamma o papà? e Come un gatto in tangenziale, entrambe dirette da Milani e interpretate dalla Cortellesi al fianco di Antonio Albanese. «Da più di vent’anni sono autrice dei miei spettacoli teatrali e televisivi. E, quando i registi hanno cominciato a chiedermi di mettere qualcosa di mio anche nei personaggi per il cinema, ho preso coraggio. Ho cominciato a scrivere le sceneggiature insieme con professionisti di cui mi fido. […] Così sento di avere maggiore controllo, certo, ma posso anche raccontare storie in cui mi rispecchio o a cui tengo particolarmente: come il film Scusate se esisto!. La protagonista, che per lavorare deve fingersi uomo, mi pareva emblematica» (a Gloria Satta). «Da Scusate se esisto! a Come un gatto in tangenziale, le battute, le trovate di sceneggiatura e il gioco degli intrecci cinematografici si innesta sul tema delle borgate, dei quartieri degradati, dell’importanza di mantenere uno sguardo attento a quelle "fette di società" che, se abbandonate a se stesse, diventano i luoghi in cui cresce la rabbia e la disuguaglianza. In Scusate se esisto! toccava al quartiere Corviale, in Come un gatto in tangenziale è protagonista Bastogi. Perché questo interesse per la periferia e i suoi problemi? "Perché conosco la vita di borgata, vengo anche io da lì e confrontarsi con quelle realtà aiuta, appunto, a mantenere i piedi piantati nella realtà. […] Poi sia a me che a Riccardo [Milani – ndr] interessano le persone marginali, quelle escluse dalle opportunità sociali, e che devono lottare contro pregiudizi e ingiustizie. Lo erano anche i borgatari di Scusate se esisto!, certo, ma lo è pure la protagonista di Gli ultimi saranno ultimi, un’operaia della Tuscia che resta incinta e prova sulla sua pelle la discriminazione di colleghi e datore di lavoro"» (Cristiano Sanna). Per il gennaio 2019 è previsto il suo ritorno nelle sale cinematografiche, con La Befana vien di notte di Michele Soavi • Dal 2008 al 2013 ha diretto insieme a Valerio Mastandrea il teatro romano Il Quarticciolo, sito nell’omonimo quartiere della capitale («Una esperienza molto importante, il teatro con i ragazzi di periferia») • «Il tuo primo ruolo? “Biancaneve, […] al Castello di Bracciano, sede del Fantastico Mondo del Fantastico. Stavo sdraiata in una teca di cristallo per sette turni al giorno. I bambini mi chiedevano di svegliarmi, io aspettavo dieci secondi e aprivo gli occhi. Credo di non aver mai preso tanto freddo in vita mia”. La prima volta che ti sei sentita davvero attrice? “Durante un tour in giro per anfiteatri pugliesi e siciliani. Interpretavo Cenerella in L’altra Cenerentola”. […] Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita? “Andare a studiare con Beatrice Bracco al Teatro Blu”. L’alternativa era…? “Studiavo Lettere. I miei genitori non mi hanno mai ostacolata, ma dicevano ‘Pensa bene a quello che fai’. Se non avessi cominciato a recitare, sarei diventata insegnante”» (Vittorio Zincone) • Da Milani, conosciuto nel 2002 durante le riprese de Il posto dell’anima e sposato nel 2011, nel 2013 ha avuto una figlia, Laura. «L’anno si suddivide in due momenti: quando scriviamo la sceneggiatura e siamo a un passo dal divorzio perché litighiamo persino sulle virgole; e l’altra parte dell’anno, in cui giriamo il film e andiamo d’amore e d’accordo. Riccardo sul set è perfetto» (a Cristina Rogledi) • Grande amica di Laura Pausini, conosciuta per caso pochi anni fa: «Io ho chiamato mia figlia Laura, e Laura, la Pausini intendo, che anche lei aveva partorito quasi il mio stesso giorno, aveva chiamato sua figlia Paola. Grazie a questa cosa davvero curiosa e grazie a una comune amica, Giorgia [la celebre cantante – ndr], ci siamo messe in contatto, ed è nata la nostra intesa» (Emanuela Fraccapani). «Fin dal primo incontro abbiamo avuto la sensazione di conoscerci da sempre, e oggi il nostro legame va ben oltre il lavoro. Io non conosco tutte le sue canzoni, lei non ha visto ogni mio film. Eppure ci sentiamo sorelle» • «La parte migliore del mio corpo? Mai stata una bella gnocca: vedo solo difetti… cambierei il naso, i capelli, mi disegnerei un po’ di curve, visto che sembro un palo della luce. Però con gli anni e la maternità ho ammorbidito il giudizio impietoso su me stessa, mi sono accettata. Non sono perfetta, ma per fortuna non mi è richiesto di esserlo» • Amore totale per la sua città, Roma. «Non potrei abitare in nessun’altra città: Roma è la mia passione, la mia vita, la mia tana. […] Va bene, sarà anche piena di problemi, ma ti frega con la bellezza: c’è tanta bellezza che ti consola, e ti scordi del resto» • «Lei passa per essere un’attrice di sinistra. […] “Guardi, io non sono una militante, […] però credo di avere un minimo di coscienza, una sensibilità per certi argomenti: questo sì, senza dubbio”» (Fabrizio Roncone) • Insieme a un centinaio di colleghe, ha sottoscritto il manifesto femminista “Dissenso comune”. «Il nostro è un movimento per l’inclusione, come il Time’s Up, ma non è legato direttamente alle molestie come il #MeToo. Ha invece la volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica, ma soprattutto le istituzioni, e abbiamo presentato la nostra lettera anche al presidente della Repubblica Mattarella in occasione dei David di Donatello, l’unico premio europeo ad essere celebrato da un capo di Stato. […] Il discorso che noi facciamo nel cinema vorrei che si allargasse ad altre categorie femminili per raggiungere una sensibilizzazione sul tema. […] La nostra idea è raccontare un universo femminile ancora troppo discriminato, dalla discrepanza di salario alla considerazione sul posto di lavoro. […] Non è stata la risposta ad alcuna violenza. Non ne ho subita nessuna, ma discriminazioni come donna sì, soprattutto da autrice. Ricordo a me stessa l’importanza della mia voce e spero che la nuova generazione, quella di mia figlia, inizi davvero a considerare tutti uguali e a trattare le donne allo stesso modo degli uomini» (ad Alessandra De Tommasi) • «Al cinema la Cortellesi ha dimostrato che ci si può trasformare da cabarettista ad attrice comica con sfumature anche drammatiche. […] Privilegia la commedia, […] ma si sintonizza soprattutto con storie sui disagi della contemporaneità: da Se fossi in te a C’è chi dice no, da Scusate se esisto! a Gli ultimi saranno ultimi, ha raccontato la malattia mentale, la disoccupazione e la discriminazione di genere. Ne Il posto dell’anima ha descritto fabbriche italiane che chiudono, morti sul lavoro, malattie ambientali» (Paola Casella). «Io recito un po’ di tutto per evitare di prendermi un’etichetta e doverla sostenere tutta la vita. Il successo grosso, quello televisivo per intenderci, può essere una prigione o una grande libertà. È una prigione se diventa un valore in sé, e allora ti tocca inseguire tutta la vita. È una libertà se puoi usarlo per fare altro. Per esempio, portare un pezzo di pubblico televisivo a teatro o al cinema a vedere storie non banali. Oppure sempre in televisione, ma davanti alla vita straordinaria della Montessori, la prima donna laureata d’Italia, quella che ha rivoluzionato l’idea di istruzione nel mondo, il modo in cui si guarda alla psicologia dei bambini». «Per me il mezzo, che sia tv, cinema o teatro, non ha importanza: conta il progetto» • «Si ha l´impressione che Paola Cortellesi possa ormai portare in scena qualsiasi ruolo classico. Medea e Antigone, Filumena Marturano e Lady Macbeth. Se non avesse un progetto molto più originale. “Mi piacerebbe recitare nel Riccardo III”. La guardo e penso che sarebbe una perfetta Lady Anna. Ma mi anticipa: “Non Anna: proprio lui, Riccardo III”. Lo storpio, crudele prototipo dei dittatori sanguinari, “plasmato da rozzi stampi”, “deforme, monco”, privo della minima attrattiva per “far lo sdilinquito bellimbusto davanti all’ancheggiar di una ninfa”. Perché una bella donna sente l’irresistibile impulso a vestire i panni del più brutto protagonista maschile della storia del teatro? “È il gioco dell’attore: il massimo divertimento è interpretare l’altro da te, per scoprire naturalmente che poi non è così lontano”. […] Una delle sue passioni è la vecchia commedia all’italiana, il grande mantello da cui è uscita tutta la nostra cinematografia giovane. Parla non soltanto dei classici, I soliti ignoti o La grande guerra, ma di gioielli dimenticati come Risate di gioia di Mario Monicelli, annata 1960, capolavoro di ironica malinconia scritto da Suso Cecchi D’Amico a partire da un paio di racconti di Alberto Moravia, con un Totò ai massimi, un’indimenticabile Anna Magnani bionda e un insolito Ben Gazzara. “Monicelli sarebbe un genio del cinema se avesse girato anche soltanto questo film perfetto, notturno ed esilarante, pieno di dialoghi inarrivabili fra Totò e la Magnani. L’ho visto cento volte, conosco le battute a memoria, eppure ogni volta ho imparato qualcosa”» (Curzio Maltese) • «Cos’altro è esibirsi se non cercare amore? Ogni volta che entri in scena fai l’amore con degli estranei… […] Anche io ho bisogno di quella sensazione: prima c’è la bocca dello stomaco che si chiude, e poi, se tutto va bene, arriva la condivisione, si apre una linea di comunicazione intima e bellissima con chi è di fronte a te. Ma io non lo cerco solo lì. Recitare è la passione della mia vita, ma, se non trovo l’amore sulle assi di un palcoscenico o non ne trovo abbastanza, ho sempre la mia vita. E conto su quella» • «L’umorismo è la chiave di volta della vita». «Ho un’anima coatta di cui vado molto orgogliosa». «Nella vita privata mi butto nelle cose senza pensarci troppo o calcolare le conseguenze. E nel lavoro mi considero addirittura spericolata, perché non mi accontento e sento il bisogno di alzare sempre più l’asticella della qualità. Mi piace sperimentare, non ho paura dei rischi e delle novità. Cerco di arrivare agli appuntamenti professionali maniacalmente preparata. E le confesso che ho già messo nel conto il dopo. […] Prima o poi la voglia di esibirmi in pubblico verrà meno. Allora intraprenderò un nuovo cammino esclusivamente come autrice. Aspetto quel momento con serenità: sono certa che sarà ugualmente appassionante».