Andrea Coccia per www.linkiesta.it, 22 novembre 2018
“SE GUARDIAMO AL VERTICE DEL GOVERNO C’È DA ESSERE PREOCCUPATI” – ODIFREDDI INQUIETO PER LA DEVOZIONE RELIGIOSA DEL PREMIER E DEI DUE VICE: “CONTE E PADRE PIO, DI MAIO E SAN GENNARO, SALVINI CON IL VANGELO E IL ROSARIO: MA PURTROPPO È UN PROBLEMA MONDIALE” - “PER LOGICA E RAGIONE NON È UN PERIODO POSITIVO. IL CLIMA ANTISCIENTIFICO NON PASSERÀ NEL GIRO DI TRE ANNI” -
Qual è lo scienziato che ha cambiato più profondamente il Novecento? A questa domanda la maggior parte di noi, con quasi assoluta certezza, risponderebbe Albert Einstein, o al limite, per i più nerd Alan Turing e per i più chic Ludwig Wittgeinstein.
Eppure, dopo aver letto Il dio della logica, scritto da Piergiorgio Odifreddi e appena pubblicato da Longanesi, è molto probabile cambiare opzione e indicare un personaggio che in molti non conoscono, ma che per la matematica e per la scienza in generale è stato rivoluzionario tanto quanto gli altri tre, se non di più. È il matematico austriaco — in realtà fosse nato qualche anno più tardi avremmo detto cecoslovacco — Kurt Gödel, un uomo schivo, riservato fin quasi all’eccesso, a cui Odifreddi ha dedicato un saggio che è talmente denso di aneddoti e talmente appassionante da sembrare un romanzo.
La prima domanda che vorrei farle è perché ha scelto proprio Kurt Gödel? Mi verrebbe da dire perché solo ora, visto che nel corso della mia vita accademica e professionale mi ci sono imbattuto tante volte, a partire dalla mia tesi di laurea fino a opere più divulgative e storiche.
In particolare, però, l’idea di questo libro è stata quella di affiancare al romanzo biografico sulla moglie di Gödel, Adele, pubblicato da Longanesi nel 2014, un ritratto intellettuale e scientifico di un personaggio come lui, che è stato al centro della quasi totalità della mia carriera accademica, e che pur essendo uno dei più grandi pensatori della storia umana — affiancabile a un Aristotele senza timore di esagerare — è scarsamente conosciuto dal grande pubblico.
Gödel è considerato uno dei quattro più influenti pensatori del Novecento, insieme a personaggi come Einstein, Wittgenstein e Turing. Perché gli altri tre sono molto radicati nel nostro immaginario, e Gödel no? Sì, a livello di immaginario e di rappresentazione romanzesca o cinematografica Gödel tra i quattro è certamente e di gran lunga il meno rappresentato. Eppure l’importanza di Gödel è cruciale: è certamente superiore a quella di Wittgenstein, per esempio. Poi, rispetto a Turing, basti dire che il suo lavoro è stato letteralmente alla base di quello, molto più famoso, di Turing, che nell’immaginario globale è ritenuto, non totalmente a torto, l’inventore dei computer.
E anche rispetto ad Einstein, che è forse l’unico scienziato della storia dell’Umanità ad essere riuscito a scrivere una formula che tutti si ricordano, negli ultimi anni della sua vita diceva di trovare la forza per andare a lavorare soltanto per il privilegio di passare del tempo proprio con Kurt Gödel, con cui amava fare delle lunghe camminate.
Quindi è solo un problema di narrazione? Sì, probabilmente l’attenzione minore che prestiamo a una figura come quella di Kurt Gödel è dovuta al fatto che non ha avuto né una vita avventurosa e rocambolesca come quella di Turing, e infatti su di lui hanno fatto due film, che però sono riferibili alla parte della sua vita più di spionaggio, di quando cercava di decriptare il codice Enigma dei nazisti, piuttosto che a quella di ricerca.
Alan Turing in più ha fatto una fine tragica, suicidatosi con il veleno, il che certamente lo rende più raccontabile al grande pubblico che un personaggio schivo e riservato come Kurt Gödel. Anche rispetto a d Einstein, Gödel è uno che non ha neppure una quella forza iconografica e pop.
Nel caso di Wittgenstein, invece, credo che sia più per il fatto che era un filosofo, e quindi è stato più facile per lui finire sulle pagine dei giornali, visto che quasi tutti i giornalisti si sono formati in materie umanistiche più che scientifiche.
È per questo che la scienza è così bistratta dall’informazione giornalistica? Sì, perché troppo spesso chi scrive di scienza sui giornali non ha la minima idea di quello di cui sta scrivendo e probabilmente non ha neppure i mezzi per distinguere uno studio credibile e importante da uno che invece non lo è. La scienza sui giornali è trattata più dal punto di vista del gossip che dal punto di vista della conoscenza reale. Deve far vendere, non farsi capire.
In questo periodo storico si parla molto di post verità, anche se forse siamo più in regime di post autorevolezza. Quanto è responsabile l’atteggiamento verso la scienza del giornalismo? Non credo che sia tutta colpa dei giornalisti o dei divulgatori se la scienza in Italia, e non solo, attraversa un periodo complicato.
La scienza qui da noi è sempre stata messa in disparte, non è una dinamica soltanto degli ultimi 10 o 20 anni e non nemmeno è un problema che si può limitare ai soli divulgatori e ai soli giornalisti.
A cosa o a chi è dovuto? Purtroppo è un problema culturale molto più vasto e molto più antico. La scienza è messa in un angolo dalla società intellettuale italiana già dai tempi dell’idealismo di Croce, che fu ministro della Pubblica Istruzione e che si vantava di saperne anche meno di quanto si dicesse in giro, e poi è continuata anche ai tempi di Gentile, che riformò la scuola italiana all’inizio del Ventennio fascista in un modo che ha ancora pesanti ripercussioni sui programmi di studio dei ragazzi di oggi, a quasi cento anni di distanza.
Entrambi hanno sempre messo la scienza in un angolo, considerandola come qualcosa addirittura da stigmatizzare. Insomma, questo sentimento anti scientifico è di molti decenni precedente a quello che stiamo vivendo oggi, a questa perdita di importanza dell’autorevolezza, a questa ignoranza diffusa che mette in dubbio qualsiasi cosa, alle fake news e a tutto questo.
A proposito di politica e di cultura, proprio in questi giorni il M5S ha annunciato di voler creare una commissione di controllo sulla scienza in RAI, che ne pensa? Devo dire, e forse ti sorprenderò, che non sarei affatto contrario allo stabilire una commissione di controllo, soprattutto perché effettivamente in televisione la scienza è soggetta a un trattamento pessimo. Certo, il problema in questo caso è che la proposta viene dal Movimento 5 Stelle, che è un partito che ha un rapporto che definire ambiguo con la scienza è un complimento, quindi la mia preoccupazione in questo caso è che diventi una commissione politica più che scientifica.
Per questo, ricollegandomi a quello che dicevamo prima, da matematico e più in generale da scienziato sono più preoccupato da chi ci governa più che dal problema di come viene raccontata la scienza dai media.
Cosa la preoccupa di più della classe politica attuale? Guardi, basta partire dai vertici: se guardiamo alla triade che in questo momento è al vertice del governo in Italia c’è da essere decisamente preoccupati. A partire dal primo ministro Conte, che ha più volte ricordato quanto sia devoto di Padre Pio, ma anche i suoi vice, che non scherzano affatto da questo punto di vista.
Di Maio è andato a baciare il sangue di San Gennaro e Salvini, che tante volte ha usato come simbolo il Vangelo e la croce, si è richiamato a non meglio precisate radici cristiane, ha recentemente pubblicato una foto con in mano una Madonna benedetta a Medjugorje.
È un problema solo italiano? No, purtroppo è problema mondiale: il governo Trump negli Stati Uniti è forse ancora peggiore di quello che abbiamo noi, come anche quello di Bolsonaro in Brasile o quello di Orban in Ungheria.
Ma a dire la verità non possiamo nemmeno pensare che tutto questo sia una novità. In Italia non c’è mai stata una classe politica al potere che fosse atea, forse quello più laico è stato Bettino Craxi, salvo che è stato proprio lui a riprendere il Concordato con la Chiesa.
Video, foto, audio: ormai si può manomettere qualsiasi rappresentazione. Qual è il futuro dello statuto di verità di ogni nostro atto comunicativo? E quali saranno le conseguenze? È sempre più complicato, ora effettivamente persino i video possono essere manipolati con estrema facilità. Dobbiamo abituarci all’idea che tutto ciò che è mediato e rappresentato potrebbe essere falso, e questo è un motivo ancor più valido per potenziare l’uso della ragione. Però, anche in questo caso, forse il problema è più in generale il nostro rapporto con i media.
In che senso? Mi spiego: i media in generale non sono certo nati per diffondere la verità. Non sono indipendenti, non hanno missione educative. Basta vedere chi li fonda, chi li possiede, chi li compra: gli Elkann a Torino, i Rizzoli e i Berlusconi a Milano, i Debenedetti a Roma.
Non mi sembra proprio che questi personaggi lottino per la divulgazione del sapere, della conoscenza e probabilmente nemmeno dell’informazione. E anche qui, ancora una volta, non c’è niente da stupirsi. I giornali sono sempre serviti per diffondere cose diverse dall’informazione, sono sempre stati usati per diffondere pensieri politici, ideologie, per fare propaganda. E il problema non è nemmeno soltanto riferibile a come viene raccontata la scienza dai mezzi di comunicazione. Pensa anche soltanto a come viene raccontato questo papato.
Come viene raccontato? Viene raccontato come un progressista, a volte quasi come un comunista, quando gusto qualche decennio fa, in patria, era considerato in patria come un reazionario. E perché ora sembra un rivoluzionario?
Solo perché dice che i sacerdoti possono decidere autonomamente se dare la comunione ai divorziati? In realtà dal punto di vista dei problemi più vasti del cattolicesimo, a cominciare dagli scandali sulla pedofilia, non mi sembra che stia facendo granché di così tanto illuminato.
Ci dobbiamo abituare al’idea che la stagione dell’Illuminismo e della Ragione, quella che ha partorito la modernità occidentale, sia stata solo una parentesi nella storia? Purtroppo sì, la stagione dell’Illuminismo alla fine non è durata molto più di qualche decennio. Esattamente come la Rivoluzione Francese, che alla fin fine dopo qualche anno ha lasciato il posto a gente come Napoleone, e poi alla Restaurazione. Il periodo che stiamo vivendo, per quanto riguarda la scienza, la logica, la ragione, non è affatto un periodo positivo e non lascia ben sperare certamente, ma resta una fase.
Quindi non è preoccupato per il futuro? Sapere che cosa ci aspetta il futuro è impossibile, ovviamente, ma se mi chiede che sensazioni ho le dico che mi rassicura la convinzione che la storia sia fatta di cicli, perché significa che se anche in questo momento ci troviamo in un ciclo decisamente negativo, che sta declinando molto rapidamente tra l’altro, sono convinto che non sarà la fine.
Certo, io ho quasi settant’anni e queste cose procedono con lentezza, questo clima antiscientifico non passerà certo nel giro di tre o quattro anni e quindi io mi sono arreso al fatto che non ne vedrò la fine. Ma ancor più e proprio per questo abbiamo il dovere di tenere accesa la luce della ragione e, anche se diventasse un flebile lumicino, dobbiamo fare di tutto per preservarlo in attesa del tempo in cui, da quello, potremmo scatenare di nuovo l’incendio.