il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2018
La prima pentita dei Casamonica
Debora Cerreoni è la prima “pentita” dei Casamonica, la donna che con le sue parole ha aiutato la Procura di Roma a tracciare la famiglia rom come un presunto clan. Così a luglio scorso in 37 finiscono in cella, 13 per associazione mafiosa. Tra questi c’è Massimiliano Casamonica, l’uomo con il quale Debora ha convissuto 12 anni. Nel 2015 la 34enne inizia a collaborare, ma a luglio 2018 viene indagata anche lei per associazione mafiosa. Nonostante ciò Debora insiste, vuole continuare a collaborare.
E così in due giorni, il 27 e il 28 luglio scorso, ripercorre con i pm Michele Prestipino e Giovanni Musarò, la sua vita nel presunto clan. Fa nomi e cognomi, riconosce volti. E racconta reati: dallo spaccio di cocaina, all’usura, agli affari in ristoranti e centri estetici. Ai magistrati Debora spiega la struttura della famiglia: “Ogni nucleo ha un suo capo e i vari nuclei familiari sono legati fra loro, ma non esiste un capo assoluto, un capo dei capi”. E non lo era neanche Vittorio Casamonica, di cui si ricorda il funerale con la musica del Padrino e i petali gettati da un aereo su Roma. La parrocchia di Don Bosco, dove sono stati celebrati i funerali, dice Debora, “è un punto di riferimento per i Casamonica. (…) Avevano rapporti stretti con alcuni preti della parrocchia”.
In questo ambiente, quindi, la 34enne ha visto lo spaccio, “la sostanza occultata anche nei cassetti in cui erano riposti i panni di mio figlio”. E il potere: “Hanno la necessità di dimostrare che sono potenti e questo, dal loro punto di vista, si dimostra mediante i rapporti con altre organizzazioni criminali e l’ostentazione di un lusso sfrenato”. Quindi i Rolex, lo sfarzo placcato in oro delle loro ville e i soldi. Debora ha vissuto anche la violenza. “Massimiliano – racconta ai pm – mi disse di aver picchiato un detenuto fino a mandarlo in coma farmacologico”. Stessa sorte, a detta di Debora, di un ragazzo massacrato di botte, ma da altri, nel 2008 per non aver saldato un debito da cocaina. Le donne non erano da meno. “Liliana Casamonica aveva acquistato l’acido muriatico, voleva sfregiare la nipote”, che aveva sposato “un ‘morto di fame’”.
Il potere del presunto clan non aveva limiti neanche in carcere. Qui, racconta Debora, “i detenuti impartiscono direttive alle donne. (…) A Rebibbia i colloqui con i bambini avvengono nell’area verde, dove non c’è il rischio di essere intercettati”. E ancora: “I Casamonica hanno un rapporto confidenziale con alcuni agenti della Penitenziaria (…) e in tal modo riescono ad allungare i tempi dei colloqui”. Ai magistrati quindi racconta di quando – durante un colloquio con il compagno all’epoca detenuto – conosce il boss campano Michele Senese. Come pure rivela le modalità per portare la cocaina oltre le sbarre. “Silvia – dice Debora – mi ha raccontato che aveva fatto recapitare a Domenico Casamonica non solo cocaina, ma anche hashish, che Domenico consumava e vendeva. Mi ha spiegato che la sostanza veniva nascosta nelle feritoie di un accappatoio, poi cucite”.
Sono rivelazioni costate a Debora una vita sotto protezione, soprattutto per i suoi tre figli che hanno dovuto lasciare Roma perché andare a scuola qui poteva essere pericoloso. Nel frattempo, la compagna del padre riceve telefonate anonime dove dall’altra parte della cornetta nessuno fiata. E poi “il giorno dopo l’arresto dei Casamonica”, Debora viene a sapere che “una mia cugina aveva ricevuto una visita da alcune persone rom che le avevano chiesto informazioni su di me”. Sembrano non volerla perdere di vista.