Il Sole 24 Ore, 22 novembre 2018
SHANGHAI I contorni dell’affaire Dolce&Gabbana scoppiato in Cina sono noti, ma riassumiamo per sommi capi: Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno cancellato il “great show” (sfilata grandiosa, potremmo tradurre) in programma per ieri sera a Shanghai
SHANGHAI I contorni dell’affaire Dolce&Gabbana scoppiato in Cina sono noti, ma riassumiamo per sommi capi: Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno cancellato il “great show” (sfilata grandiosa, potremmo tradurre) in programma per ieri sera a Shanghai. Il più grande evento mai organizzato dal marchio, un kolossal della moda alla Baz Luhrmann da – si dice – 20 milioni di euro e che avrebbe coinvolto 1.500 ospiti dal mondo, 400 modelle per oltre 500 look: un fashion show da un’ora (un’enormità, le sfilate non durano mai più di 15 minuti) in cui si sarebbero esibiti artisti di strada e di talent show e musicisti professionisti. Giorni di prove, mille operai cinesi al lavoro, duecento persone dell’azienda venute dall’Italia per affiancare il personale locale.
Ma lo show dei record non si farà. Uno scambio di battute su Instagram – la cui veridicità è ancora da appurare – tra Stefano Gabbana e una sua follower ha portato ad accuse di razzismo e alla decisione di cancellare l’evento, rimandato a data da destinarsi. Sono molti i temi che si intrecciano intorno all’affaire. Prima di tutto c’è la forza dei social network, degli eserciti di follower dei profili Instagram più seguiti e delle armi a loro disposizione: post, re-post, re-tweet, like e commenti. In secondo luogo va sottolineata la forza del messaggio, inversamente proporzionale alla sua lunghezza, verificabilità e, in alcuni casi, persino alla sua veridicità. In altre parole: più un messaggio è breve, infarcito di simboli e termini aggressivi, volgari, offensivi, più riceve attenzione e si propaga. Il terzo tema è – chiamiamolo così per intenderci – il politically correct, su cui si innesta un paradosso: da una parte la comunicazione ai tempi del web più efficace, che ottiene risultati eccezionali in un batter di clic e di post, richiede toni forti, parole volgari e semplificazioni, in primis culturali. Dall’altra si chiede, col politically correct, di misurare toni e termini, di metterci nei panni degli altri e di tutelare le altrui sensibilità.
Nel caso Dolce&Gabbana le regole sarebbero state infrante postando sull’account ufficiale di Stefano Gabbana (Domenico Dolce non ne ha uno) e del marchio tre brevi video in cui una modella cinese mangiava spaghetti, pizza e un cannolo. In sottofondo, quella che presumiamo essere la musica più diffusa nel ristoranti cinesi e, nel video col cannolo, la scritta «forse è troppo grande per te». Alcuni follower, cinesi e non solo, si sono offesi. Una in particolare, da Londra, ha iniziato una conversazione “privata” con Stefano Gabbana degenerata (ma la versione dell’azienda è che ci sia lo zampino di un hacker) in insulti e volgarità da parte dello stilista alla ragazza e viceversa, in questo caso ai cinesi in generale. Immediate le reazioni a catena del web: modelle che annunciano di non voler sfilare per dei razzisti perché «la madre patria viene prima di tutto», celeb e attori che avrebbero dovuto sedere in prima fila che dichiarano che non compreranno mai più prodotti Dolce&Gabbana, artisti che annunciano le rispettive defezioni. E ancora: un profluvio di insulti da chi per i due stilisti e il marchio non ha mai nutrito amore o trasporto.
Esercizi di meschinità a parte, resta un tema: in Paesi come la Cina, dove il controllo sociale e politico passa dall’identità culturale e dall’orgoglio nazionale, non ci si può esprimere come si fa in altri Paesi. Forse non si dovrebbe perdere mai il controllo. Ma se il carattere gioca brutti scherzi – come a Stefano Gabbana e Domenico Dolce è già successo in passato – in Cina occorre trattenersi. La moda, in ogni caso, si conferma un gioco serissimo, un linguaggio universale da maneggiare con cura.
A poche ore dalla cancellazione è arrivato un comunicato: gli stilisti ringraziano chi ha lavorato all’evento e lo aspettava con ansia. E ribadiscono l’intento iniziale: rendere omaggio alla Cina con la grandiosità della sfilata. Purtroppo precisazioni, come questa, smentite o scuse, sono come i “paria” della comunicazione sul web. Valgono ancora meno che nel mondo reale. I danni per Dolce&Gabbana potrebbero essere anche economici: la Cina è già oggi il primo mercato dell’azienda (1,3 miliardi di fatturato nel 2017, con un export superiore al 70%) e vale circa 400 milioni di fatturato solo in loco. Molto dipenderà da quanto dovremo aspettare per la prossima “pallina avvelenata” su Internet che diventi tempesta nel mondo reale e cancelli l’affaire Dolce&Gabbana. È Internet, bellezza. O bruttezza.