Corriere della Sera, 22 novembre 2018
Quelli che hanno tenuto in vita il lievito madre della Melegatti
VERONA Per quasi un anno sono stati gli unici a mettere piede nello stabilimento, anche quando c’erano i sigilli. Mentre la proprietà doveva fare fronte al fallimento, mentre gran parte dei colleghi, in cassa integrazione, era alla ricerca di un nuovo impiego, attraversavano i corridoi della fabbrica di San Giovanni Lupatoto, a due passi da Verona, dove li aspettava un panetto di pasta lievitata dal peso di circa un chilo e dal valore inestimabile: l’essenza stessa di ogni pandoro.
Alla Melegatti li hanno battezzati «gli angeli del lievito madre». È anche merito loro se, dopo l’anno più turbolento dei 124 che compongono la lunga storia della ditta, la produzione del classico dolce natalizio ha potuto riprendere senza intoppi. Sono i capireparto del laboratorio di impasto: tre persone che si sono scambiate il turno per consentire a quella stessa materia prima, infornata per la prima volta da Domenico Melegatti nel 1894, di sopravvivere. Questione di romanticismo? Niente affatto. «Nell’impasto – spiega Davide Stupazzoni, dipendente dal 1995 – c’è il segreto non solo del gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro struttura. È quello che permette al pandoro di “stare in piedi”, di sviluppare quella forma perfetta, stellata. La stessa che è stata brevettata dalla nostra ditta a fine Ottocento».
Comprensibile che la Melegatti lo conservi come un tesoro: «Il lievito madre – prosegue Stupazzoni – rimane tutto l’anno in una cella a temperatura costante, attorno ai quindici gradi: si cerca di evitare che subisca choc termici di qualsiasi tipo». Rinfrescarlo è un rito, come sa chi ama fare il pane in casa. Ma se per le preparazioni domestiche ci si può accontentare di intervenire ogni tre o quattro giorni, il lievito ultracentenario dei pandori richiede un’attenzione più costante. «L’operazione va fatta quotidianamente. Nel periodo delle campagne natalizie, una volta ogni dodici ore – precisa Stupazzoni – e non basta aggiungere semplicemente acqua e farina, occorre farlo con le dovute dosi, altrimenti l’impasto verrebbe alterato».
A muovere Stupazzoni e i suoi colleghi, in un momento in cui nulla era certo, dalla ripresa della produzione fino ai soldi in busta paga, è stato il senso di responsabilità. «Siamo venuti anche quando non eravamo stipendiati. Qualcuno ci doveva pensare, altrimenti si sarebbe perso per sempre qualcosa di unico. Quando la società è andata in fallimento è stato proprio il curatore ad assicurarsi che facessimo il nostro lavoro: il valore della ditta era legato anche alla preservazione dell’impasto base».
Da martedì, il lievito Melegatti è tornato a produrre pandori, sotto la nuova gestione targata Spezzapria, la famiglia di industriali vicentini che dall’industria aerospaziale è ora approdata all’alimentare, dopo essersi specializzata nel packaging. I primi arriveranno sugli scaffali dei supermercati nel giro di qualche giorno. E così, Stupazzoni e gli altri colleghi del laboratorio sono finalmente rientrati nello stabilimento, non per restarci pochi minuti, ma per un turno intero. «Per molti è stato come tornare a casa. La maggior parte non ha mai smesso di sperare che la situazione si risolvesse, che qualcuno comprasse l’azienda e la rilanciasse. Quando è successo non abbiamo semplicemente tirato un sospiro di sollievo. Ci siamo sentiti davvero felici».