Corriere della Sera, 22 novembre 2018
Intervista a Pierre Moscovici
Al decimo piano del palazzo della Commissione Ue, sulla porta del capo gabinetto di Pierre Moscovici è appesa una foto del commissario agli Affari economici che scruta in modo quasi febbrile il volto del ministro Giovanni Tria. La didascalia recita: «Let’s the stress begin»(«che cominci lo stress»). Intanto nel suo ufficio Moscovici si sta rilassando con una lattina di coca light e una traduzione francese di Italo Svevo. Due ore prima ha annunciato la prima mossa di una procedura sui conti italiani e Matteo Salvini, il vicepremier, ha replicato: «Aspetto una lettera di Babbo Natale».
Commissario, che effetto le fa una risposta così?
«L’opinione della Commissione è un passaggio importante di una procedura prevista dai trattati. Non mi sono messo il vestito rosso o la barba bianca e non sono Babbo Natale: sono il commissario agli Affari Economici e penso si debbano trattare queste questioni con rispetto reciproco, serietà e dignità. Non con disinvoltura e un’ironia che stride. Diamoci da fare perché c’è tanto lavoro, in questa situazione che nessuno ha voluto. Certo non noi. Il dialogo non è un’opzione, è un imperativo».
Lei parla con il ministro dell’Economia, che non ha potere, ma non con chi ne ha: i vicepremier Salvini e Luigi Di Maio. Non è il caso di chiamarli?
«Non possiamo pensare che il governo di un grande Paese del G7, la terza economia dell’area euro, e le istituzioni di questo Paese siano un Villaggio Potëmkin o di cartapesta. Le istituzioni vanno prese sul serio. Quando parlo al mio interlocutore Tria, o vengo ricevuto al Quirinale, parlo a persone che rappresentano istituzioni. Non possiamo mettere in dubbio la legittimità dei nostri interlocutori. Tocca poi a loro vedere con i loro colleghi come organizzare il dialogo».
Per ora, è fra sordi.
«Non la metterei così. Tenere un filo di dialogo significa che restiamo in un quadro comune, la zona euro, e in istituzioni comuni come l’eurogruppo. Parliamo fra istituzioni che hanno anche un passato e un futuro. Salvini stesso ha detto che è disposto al dialogo sulla manovra, dunque capisce la posta in gioco. Continuerò a confrontarmi con i miei interlocutori e se a un certo punto ci fosse occasione di incontrare Salvini o Di Maio in conversazioni più informali, non sono contro».
È sostenibile per l’Italia uno spread inchiodato sopra i 300 punti?
«Non tocca a noi dirlo. Non commentiamo i movimenti di mercato e cerchiamo di non provocarli. Siamo regolatori, non speculatori. Ma un livello di spread elevato ha conseguenze che conosciamo. Dunque chiediamoci cos’è che crea lo spread e non confondiamo il termometro con la febbre».
Non sarete voi ad agitare i mercati?
«Parlo proprio di questo. Non è il termometro che provoca la febbre, è la febbre che fa salire il termometro. A far reagire i mercati non sono i commenti della Commissione, sempre prudenti. A maggior ragione dato che abbiamo a che fare con un governo che sappiamo essere particolare e con certi leader politici a volte aggressivi. Non sono sicuro che sarei altrettanto cauto con un altro governo».
Lei viene criticato in Italia per delle dichiarazioni chiaramente politiche…
«La Commissione è neutra e oggettiva, segue le regole. Non agisce né troppo in fretta, né troppo piano. Né troppo forte, né troppo dolcemente. Ciò che fa muovere i mercati sono le preoccupazioni sulla politica economica. Se le nostre dichiarazioni apparissero assurde, arbitrarie, infondate e ci fosse fiducia nella politica di bilancio dell’Italia o nella traiettoria del debito, gli investitori ci ignorerebbero. Ma non è così».
Lei ha dichiarato che gli italiani hanno eletto un governo xenofobo. Si considera un regolatore neutro, come dice, o fa politica?
«Possiamo salire le scale e masticare il chewing gum allo stesso tempo. Chi pensa che i commissari siano dei burocrati non eletti si sbaglia: siamo politici, responsabili davanti al Parlamento europeo come i ministri davanti ai loro parlamenti. Da cittadino non condivido in niente le idee del capo partito Matteo Salvini. Lui è amico di Marine Le Pen, io in Francia la combatto. È un mio diritto, anche se mi hanno attribuito dichiarazioni che non erano mie. Per esempio quando ho parlato di “piccoli Mussolini”, mi stavo riferendo a una procedura lanciata dall’europarlamento su un altro Paese. Ma stranamente in Italia c’è chi ha creduto di riconoscersi, non so perché. Invece nella mia funzione di commissario rispetto il ruolo istituzionale di Salvini e Di Maio e sono amichevole verso l’Italia, sostenitore della flessibilità, nemico delle sanzioni e fra i più moderati. Così fu con i precedenti governi italiani, così è con questo».
L’Fmi propone all’Italia un risanamento graduale. Farete lo stesso?
«La mia parola d’ordine è: passo passo. Abbiamo lanciato un processo, ma il seguito non è già scritto: né il ritmo, né la traiettoria di riduzione del deficit e del debito. Per questo la disinvoltura non è la risposta adatta: troppo facile sparare sul pianista. Noi siamo un elemento, ma gli Stati decidono e l’Italia è sotto lo sguardo di tutti i governi, unanimi nel pensare che il Paese non sia sulla strada giusta. Tutti sono preoccupati per la rotta che allontana la riduzione del debito e rischia di non creare crescita. Semmai, l’opposto».
Questa procedura sarà utilizzata da Salvini e Di Maio in campagna per le europee. Ci ha pensato?
«Ogni giorno. È la ragione per cui l’atteggiamento della Commissione è prudente. Il nostro compito non è picchiare più forte o più in fretta per far muovere i mercati. Né prendere posizione nel dibattito italiano: non ho commenti sull’opportunità di fare un programma sulla povertà o sulle infrastrutture».
Le interessano i saldi del deficit o come l’uso specifico del deficit influenza la capacità di crescere?
«Mi interessano i saldi: è la regola. Ma guardiamo alla composizione del bilancio e non ci sembra idonea, perché il principale problema dell’Italia è la produttività. Era meglio concentrare la spesa sugli investimenti».
Dunque se il bilancio fosse più favorevole agli investimenti e alla produttività, con gli stessi deficit la situazione sarebbe meno grave?
«Non ho detto questo. La mia responsabilità è assicurarmi che i deficit strutturali si riducano e che il debito pubblico sia sotto controllo».
La tensione di mercato nasce dalla svolta politica, ma voi reagite quasi fosse un problema economico come nel 2011. La fa riflettere?
«Se c’è qualcuno a cui questo dovrebbe dare da riflettere, è il governo italiano».