ItaliaOggi, 22 novembre 2018
Alberto Bonisoli è per il protezionismo nel cinema
Gli italiani dovranno passare dalla visione del Grande fratello all’obbedienza ad Alberto Bonisoli, ministro dei beni culturali, già capo di varie cose milanesi, dal 4 marzo 2018 parlamentare 5Stelle. Un curriculum condito da una laurea nell’Università Bocconi. Nel clima, tuttavia, che si tenta di instaurare nel Belpaese, Bonisoli ha avuto un’altra pensata, degna di Winston Smith (Orwell, 1984), l’impiegato britannico del ministero della verità: adottare un decreto con il quale si dispone che i film siano distribuiti in prima battuta nelle sale e solo dopo possano approdare sulle piattaforme. Iniziativa suggerita dai cinematografari nazionali, scandalizzati perché a Venezia sono giunti due film realizzati (e pagati) per la piattaforma mondiale Netflix: Roma di Alfonso Cuaròn e Sulla mia pelle sul caso Cucchi.Si tratta dell’infelice deriva del trattamento di favore riservato per decenni dallo Stato italiano a centinaia di film nazionali che, senza il suo sussidio, non avrebbero varcato la soglia dell’ultimo cinema dell’estrema periferia della più sperduta città. Quattrini, in genere, destinati dal ministero dei beni culturali alle opere di amici politici del governo o del ministro pro-tempore e che hanno creato l’assurdo di una cinematografia più paesana che provinciale, il cui scopo era quello di «educare» i pochi spettatori che sarebbero caduti nella trappola.
I tempi delle grandi produzioni di Dino de Laurentis e di Carlo Ponti sono finiti da un pezzo. Tuttavia, ci sono registi italiani (penso a Giuseppe Tornatore in particolare) che riescono a realizzare film per un target internazionale, capaci di sbancare il botteghino. Certo, si tratta di pellicole girate in inglese, ma nulla vieterebbe di disporre agevolazioni fiscali per tutti (senza scelte discrezionali) i prodotti in lingua italiana. Bonisoli, però, vuole vietare: che Netflix e simili producano film italiani per il pubblico mondiale (punendo registi apprezzati nel mondo); che gli utenti abbiano la libertà di scegliere tra la sala cinematografica, la tv di Stato, di Berlusconi o di Cairo, e i network via web.
Siamo ai prolegomeni dell’oscurantismo. Alla fine della libertà culturale.
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