il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2018
La potenza dei De Benedetti garantita dai giornali
Chiamansi “benefici indiretti del controllo”. Ogni padrone di giornali questo motto lo conosce a menadito. Con l’editoria (almeno in Italia) non si è mai diventati ricchi. Tantomeno negli ultimi 10 anni di crisi. Ma avere un giornale ti dà un potere che va al di là della mera contabilità. Uno strumento formidabile di pressione. Puoi blandire per ottenere favori negli altri campi in cui operi; puoi silenziare tutto ciò che riguarda le tue altre attività. L’editore impuro è questa cosa qui. E sul podio dei padroni della stampa con interessi molteplici si erge di diritto la famiglia De Benedetti. Con l’ex gruppo Espresso Repubblica divenuto Gedi dopo la fusione con l’Itedi degli Agnelli che ha portato in casa La Stampa e il Secolo XIX. Sotto il cappello del regno di Repubblica-Espresso (con una decina di testate locali più tre radio nazionali) c’è molto di più. Il gruppo Cir-Cofide che controlla Gedi sta su altre due gambe: la componentistica auto con Sogefi e la sanità privata con Kos e le sue 81 tra residenze per anziani e strutture mediche (8 mila posti letto).
C’era fino a qualche anno fa una propaggine, una volta gioiello della corona e finito miseramente come pacco-dono alle banche creditrici, che era Sorgenia. Le centrali elettriche che la Cir possedeva e che, entrate in crisi, sono divenute il più grande smacco bancario della storia recente. Già perché la famiglia degli imprenditori-editori, una volta compreso il disastro cui andava incontro Sorgenia, anziché farsene carico hanno rifilato il pacco miliardario alle banche creditrici. Divenute obtorto collo azioniste del gruppo in crisi. La storia della beffa di Sorgenia non la troverete certo sui giornali di casa che riportavano la vicenda in poche righe in cronaca e senza il coup de théâtre dei De Benedetti. Sorgenia va in crisi per eccesso di offerta, cadono i ricavi si producono le perdite. Nel 2013 fa un buco di 537 milioni. È il clou di una crisi che viene da lontano. Il paradosso è che più le cose vanno male più Sorgenia viene finanziata arrivando a cumulare 1,85 miliardi di prestiti. E non c’è da stupirsi, chiamandosi De Benedetti, che la banca più esposta con oltre 600 milioni sia Mps. Ma i De Benedetti (Rodolfo in testa, l’ideatore di Sorgenia) hanno già pronta l’exit strategy: nel 2013 azzerano il valore di Sorgenia nel bilancio di Cir, mossa propedeutica all’abbandono. Serve capitale. Nel 2014 le banche chiedono che la famiglia metta almeno 150 milioni. I De Benedetti non tirano fuori un euro e le banche si ritrovano la Sorgenia in odore di crac. Non avevano i soldi? Qui la tragedia si trasforma in farsa. Sempre nel 2013 i De Benedetti incassano 344 milioni dalla Fininvest che ha perso il lodo Mondadori. Non solo, la Cir era comunque piena di liquidità per 538 milioni. Cdb se la tiene stretta alla faccia di Sorgenia. Finisce che le banche (Mps in testa) fanno il salvataggio, i De Benedetti escono del tutto, deconsolidano da Cir quasi 2 miliardi di debiti e si ritrovano senza guai e con tanta liquidità.
Che dire di Kos? Il gruppo con le sue residenze per gli anziani fattura quasi mezzo miliardo, ha margini vicini al 20% dei ricavi e utili nel 2017 per 29 milioni. Un affare. Che deve buona parte della sua forza al rapporto stretto con il pubblico. Le sue strutture sono convenzionate con il Sistema sanitario e il 63% del suo mezzo miliardo di ricavi arriva da Regioni e Comuni. Non contenti, i De Benedetti cercano ancora la sponda pubblica. Il fondo healthcare di F2i compra nel 2016 il 46% di Kos sborsando 292 milioni. Così la famiglia usa meno capitale e condivide il rischio con il fondo pubblico.
E poi ecco Gedi. O meglio l’ex gruppo Espresso. È aperta un’inchiesta giudiziaria su un eventuale abuso dei prepensionamenti “facili” (a spese dell’Inps) del gruppo e della Manzoni, la concessionaria di pubblicità. Ma al di là dell’inchiesta, resta il fatto che il gruppo ha usufruito tra il 2012 e il 2015 di consistenti prepensionamenti di poligrafici e giornalisti, avvalendosi degli stati di crisi. Un altro regalo alla famiglia. L’unico bilancio in rosso per il gruppo è quello del 2017 per 123 milioni. Pesa la chiusura di una lite fiscale, finita in Cassazione, e che riguardava atti elusivi nella fusione addirittura del 1991 tra l’editoriale Repubblica e la Cartiera di Ascoli. Il fisco chiedeva 389 milioni, la Gedi alla fine ha chiuso il contenzioso con 175 milioni, di cui 140 pagati proprio nel 2017. E poi c’è l’avventura ingloriosa della quotata M&C, il fondo “salva-imprese”, che a detta dell’Ingegnere doveva investire in aziende in crisi, risanandole. Ai tempi fu presentata come una grande iniziativa che doveva coinvolgere anche il nemico di sempre, il Cavaliere. Alla fine M&C non ha salvato neanche se stessa. Di recente ha venduto il suo investimento nella tedesca Treofan portando a casa 30 milioni di perdite e cagionando ai soci di minoranza perdite sul titolo per oltre il 70% solo negli ultimi 4 mesi.
È nota pure la passione dell’Ingegnere per la finanza che pratica da trader smaliziato. Smaliziato e con accesso a informazioni privilegiate. Come non ricordare le visite a Palazzo Chigi e l’interesse sulla imminente riforma delle Popolari? Agli atti c’è l’intercettazione della Finanza in cui l’Ingegnere ordina il 16 gennaio (il venerdì prima dell’approvazione del decreto) al suo broker di fiducia l’acquisto di titoli delle Popolari che sarebbero state rivendute subito dopo fruttando una plusvalenza in pochi giorni. Un mordi e fuggi da speculatore ben informato. Il veicolo delle sue operazioni di Borsa è la Romed. La Romed vive di compravendite di azioni e derivati. In 3 anni ha portato a casa oltre 80 milioni di utili. I titoli in pancia a Romed valevano 65 milioni nel 2015. Sono saliti a 96 milioni. Poi ci sono i derivati per 30 milioni. Cdb scommette su azioni e futures. Il metodo è da corsaro della finanza: compra le azioni, le dà in pegno alle banche da cui ottiene finanziamenti per comprare altre azioni. Nel frattempo l’operazione Gedi e la sua Stampubblica non sta dando i frutti sperati. I ricavi sono aumentati di oltre il 10% ma i margini sono scesi di un buon 5%. Le maggiori dimensioni non fanno reddito. E i De Benedetti hanno già messo le mani avanti. Annunciati tagli dei costi tra cui quelli del lavoro per decine di milioni. Magari chiedendo un nuovo stato di crisi e il paracadute pubblico.