La Stampa, 21 novembre 2018
L’eredità Torlonia è in vendita
Non c’era riuscito Veltroni, non c’era riuscito Berlusconi e neanche Franceschini a fare uscire i 620 marmi di inestimabile valore dei Torlonia, la più grande collezione privata del mondo, scomparsi nel sottosuolo di un palazzo di via della Lungara dove al posto del Museo, negli Anni 70, sono sorti improvvisamente dei miniappartamenti. Ma la morte del principe Alessandro, ultimo Assistente al Soglio Pontificio della Corte Papale (carica cancellata da Paolo VI nel 1968), con la feroce guerra ereditaria che ne è seguita, ha riacceso un faro su questa storia e sulle statue che negli anni non solo sono state a prendere polvere in una cantina ma hanno corso il serio rischio di «emigrare» oltreoceano. Ma adesso grazie all’erede del titolo, Carlo Torlonia, i marmi, la pinacoteca e una grande parte del patrimonio di famiglia sono stati sequestrati in via giudiziaria.
Una guerra ereditaria «fratricida» che vede da una parte il principe Carlo e dall’altra i suoi tre fratelli, Paola, Francesca e Giulio. Un patrimonio enorme che comprende oltre alle collezioni d’arte, anche Villa Torlonia (già Villa Albani) che fu abitata da Benito Mussolini, il Palazzo Giraud-Torlonia di via della Conciliazione, diverse aziende agricole e quote societarie della Banca del Fucino di cui il principe Alessandro è stato fino alla morte presidente, esattamente come il suo bisnonno che prosciugò l’area del Fucino trasformando l’economia della regione.
Eredi in guerra che portano sul «fronte» non solo un’immensa ricchezza, ma anche il loro cognome, un pezzo di storia, il destino di opere d’arte che sono un bene si privato ma anche dell’umanità. E seguendo probabilmente questa scia il giudice Vallillo dell’ottava sezione del Tribunale civile ieri ha dato ragione a Carlo Torlonia ravvisando il pericolo della dispersione dei beni. Tutelando così non solo l’erede ma anche una grossa fetta del patrimonio artistico italiano.
Le opere della collezione Torlonia sono frutto degli scavi archeologici fatti nei loro possedimenti ma non solo. Molte opere sono state «comprate» da famiglie nobili in difficoltà. Tra i marmi c’è la colossale testa di Apollo di Kanachos, ma anche l’Atleta di Mirone, il rilievo di Portus con la rappresentazione degli edifici, delle navi, delle divinità protettrici e della vita commerciale dell’Antico Porto di Roma, il sarcofago di Ettore. Insomma una collezione considerata dagli esperti addirittura più importante di quella dei Musei Capitolini e dei Musei Vaticani.
Il principe Carlo Torlonia non vorrebbe parlare e si limita a commentare così: «Mi piacerebbe che queste opere d’arte potessero fare parte di un museo con il mio nome, per esempio a Palazzo Giraud-Torlonia per tutti i cittadini del mondo». E il suo avvocato, Adriana Boscagli, ormai una toga eccellente nelle divisioni ereditarie milionarie, spiega che «la tutela cautelare si è resa necessaria in considerazione di alcune condotte dei co-eredi e dell’esecutore testamentario che a nostro avviso avrebbero potuto pregiudicare definitivamente i diritti ereditari del mio assistito». Nel ricorso si legge che Carlo Torlonia, «solo casualmente» è venuto a conoscenza, per esempio della costituzione della Fondazione Torlonia «in cui né lui, né i suoi figli avevano alcun ruolo e che detta collezione aveva assunto in comodato la gestione dei tutte le enormi collezioni di opere d’arte».
«Questo provvedimento, spiega ancora la Boscagli, tende ad impedire sia atti di dispersione di beni mobiliari come le statue, ma anche ad impedire il compimento di operazioni societarie di natura straordinaria che possano vanificare le domande di accertamento richieste nel giudizio pendente. O che possano far confluire parte dell’asse ereditario nella Banca del Fucino che in questo momento notoriamente è in una situazione di crisi».
Ad accendere la spia del «pericolo espatrio delle opere d’arte» sarebbe stato, da quello che si legge in atti processuali americani portati all’attenzione del giudice italiano, un incontro negli Usa dell’attuale presidente della Banca del Fucino con i rappresentanti del Paul Getty Museum. Per parlare delle statue? E dalle stesse carte si apprende che 30 esperti d’arte sarebbero stati mandati a Roma per valutare le opere, ospiti a Villa Albani nel 2016. Circostanze che hanno convinto il giudice italiano a fermare la successione in attesa di una maggiore chiarezza per poi procedere alla divisione.