Libero, 21 novembre 2018
Prodi il proletario
Ogni tanto ricompare Romano Prodi, e la cosa fa notizia perché in genere compare poco e parla di conseguenza: una dote apprezzabile che in giorni di magra mediatica – sterili ping pong tra vicepresidenti del consiglio – trasforma in un titolo di giornale qualsiasi banalità che Prodi possa dire. E sia: ci accodiamo e annunciamo che ieri, mentre presentava un libro, l’ex premier ha detto due cose che sono state giudicate notevoli: una è che c’è da chiedersi «quale sia il vero potere politico nella fase della globalizzazione che ha tolto alla politica gli strumenti per agire», o qualcosa del genere; l’altra è che «la differenza di stipendio fra chi guida le società e l’operaio standard è di 200 volte, e nessuno dice niente: accettiamo cose che 30 anni fa non avremmo minimamente accettato». Abbiamo registrato: dopodiché Prodi potrebbe anche tornare alle sue agiatezze senili e tanti saluti, ma non si può, perché il clamore artificioso creato attorno a queste due frasi generiche, trasformate in cruciali e significanti, ora costringe a scomodarsi per giudicarle banalità anche un po’ false e tartufesche, se proprio volessimo prenderle sul serio. La frase che ha colpito di più, perché sa di antipolitica e di ribellione ai super-stipendi, è quella sulla differenza tra gli stipendi dei manager e quelli dell’operaio: anche 200 volte, dice Prodi, che è stato un manager, e ? ne siamo sicuri ? oggigiorno avrebbe combattuto battaglie memorabili per guadagnare di meno, anzi «non avrebbe minimamente accettato». Il luogo comune vuole che la forbice, anche in termini di potere d’acquisto, abbia impoverito gli operai e arricchito i manager: ma è vera solo quest’ultima cosa. Manager e amministratori guadagnano estremamente più di trent’anni fa, sì, ma in tutto il mondo: negli Usa, l’ad di una’azienda quotata in Borsa becca anche 3-400 volte il reddito di un suo operaio o del suo autista. Nel 1980, il rapporto tra retribuzione del lavoratore medio e del top-manager era di 1 a 42: nei trent’anni successivi la disparità è cresciuta di 8 volte. Poi c’è ’sto vizio di citare sempre gli operai, ma il citato ad di un’azienda quotata in Borsa guadagna anche come 25 rettori di grandi università, 28 presidenti degli Stati Uniti, 252 vigili del fuoco e 225 insegnanti. I dati sono dell’Executive Paywatch del sindacato americano Afl-Cio. In Italia, in rapporto, la forbice è più stretta, ma ci sono stati casi clamorosi: Alessandro Profumo di Unicredit prese 38 milioni come «buonuscita», Sergio Marchionne tra compenso, bonus-risultato e stock option in un anno arrivava a prendere come 6.400 operai del Lingotto: uno come Prodi non avrebbe mai accettato, ne siamo sicuri. In ogni caso stiamo parlando di eccezioni: i rapporti annuali di Mediobanca hanno evidenziato che in Italia i manager hanno compensi pari a circa 36 volte il costo di dipendenti (non 200) anche se chi cumula le cariche di presidente e ad arriva a guadagnare quanto 83 impiegati. Va detto che nel cumulo delle cariche sociali spicca una famiglia in particolare, da sempre legata a Romano Prodi: i De Benedetti.
QUANDO SI STAVA MEGLIO... E gli operai? Siamo certi che trent’anni fa stessero meglio? Sì e no. Il cosiddetto «operaio generico» nel 1990 guadagnava di base 1 milione e centomila lire: quando il caffè ne costava 700 (lire), il giornale 1.200 e la benzina 1478. Carne: negli anni Ottanta un chilo costava un 46mo dello stipendio di un operaio, oggi un chilo costa un 120mo. Latte: oggi, in rapporto, un operaio può comprarne quasi il doppio. Telefono: non c’erano i cellulari né la concorrenza, e costava un botto: negli anni Ottanta un operaio aveva un potere d’acquisto di circa 350 ore di telefonate urbane, oggi ha superato le 600. Pane: più o meno uguale. Riso: oggi un operaio potrebbe comprarne 750 chili, negli anni Ottanta 300. Auto: la Panda nel marzo 1980 costava 3 milioni e 700 mila lire (dieci stipendi di operaio) e oggi lo stesso modello aggiornato costa circa otto stipendi. Poi è vero che altre cose sono aumentate moltissimo (qui c’è la responsabilità di molti commercianti) ed è vero che sono cresciute anche le aspettative sociali: operaio o no, guai a non avere smartphone, tablet, computer e wi-fi, per esempio. E per tutta la famiglia. Impossibile dimenticare, poi, i rincari di ogni tassa locale o nazionale, le multe, non la benzina (nel 1980 l’operaio poteva portarne a casa circa 500 litri al mese, oggi arriva a quasi 700 litri) ma sicuramente bolli, assicurazioni, affitti e molto altro. Detto ciò – mentre il mondo si trasformava in qualcosa che, ora, scandalizza Prodi – Romano Prodi non era un passante: anche perché i passanti in genere non accumulano tre pensioni. Prodi ieri ha parlato del «vero potere politico che nella fase della globalizzazione ha tolto alla politica gli strumenti per agire»: stiamo parlando, quindi, dell’economia e della finanza che subentrano nella politica, e quindi, in forma primigenia, stiamo parlando anche di Prodi negli anni dell’Iri. Stiamo parlando di un economista (di area democristiana) che nella sua ristrutturazione portò alla cessione di 29 aziende del gruppo (anche l’Alfa Romeo) e alla diminuzione dei dipendenti, a cessioni, liquidazioni (Finsider, Italsider ed Italstat) e via così.
I SUCCESSI DI ROMANO C’era Prodi anche quando, dal 1982 al 1989 e poi dal ’93 al ’94, fu svenduto lo svendibile e, attraverso le privatizzazioni, furono smantellati settori anche trainanti dell’economia: tra questi c’era quello agro-alimentare che era appunto dell’Iri. C’era Prodi anche nel suo innamoramento sovietico e successivamente in quello cinese (fu consulente dell’agenzia di rating Dagong) e cioè due realtà in cui è meglio fare calcoli sugli stipendi degli operai e sui loro diritti. C’era Prodi - questo l’hanno notato in tanti - e c’era Carlo Azeglio Ciampi anche quando l’Italia entrò nell’euro nella maniera in cui c’è entrata: ma i pareri sulle responsabilità e gli errori dell’allora primo ministro Romano Prodi, già presidente della Commissione europea, sono ancor oggi discordi. E così pure lo sono circa il presunto errore dell’Unione europea capitanata da Prodi nell’allargarsi a Est: «È stato un successo, un capolavoro politico», ha detto Prodi nel 2014. Infatti moltissimi dei neo-operai assunti negli ultimi anni in Italia – disposti evidentemente a farsi sottopagare – vengono proprio da Est. Al vertice di Nizza del 2000, dedicato all’inclusione dei paesi dell’ex blocco sovietico, c’era Prodi. Oggi quell’allargamento frettoloso viene considerato uno degli errori che hanno fatto deragliare l’Europa.