il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2018
Caro benzina, Italia peggio della Francia. Ecco perché nessuno scende in piazza
La protesta dei gilet gialli è arrivata al suo quarto giorno, da quando sabato scorso è scoppiata in oltre duemila località francesi registrando un altissimo numero di feriti e due morti. Migliaia di persone, a volto scoperto, hanno deciso di bloccare strade e autostrade per opporsi alle politiche “anti-auto” decise dal governo di Parigi. Ieri il presidente Emmanuel Macron ha auspicato il “dialogo” per placare le tensioni e ha riconosciuto che è “normale che la popolazione possa esprimere frustrazione mentre si sta cercando di cambiare le abitudini” del Paese sui combustibili fossili. E ha, quindi, ribadito le sue promesse di sussidi per 5,8 milioni di famiglie a basso reddito per l’acquisto di auto o per passare a metodi di riscaldamento più puliti grazie a un assegno di 200 euro all’anno. Dichiarazioni che non hanno affatto stemperato gli animi dei manifestanti appartenenti alle classi medio-basse, abitanti di centri periferici o rurali mal collegati tra loro dal trasporto pubblico, che hanno bisogno dell’automobile privata per andare lavoro. Una fetta di popolazione che non si riconosce più nelle politiche di Macron e nella sua legge sulla transizione energetica che prevede un aumento delle imposte sui carburanti ogni anno fino al 2022. In particolare, al rincaro nell’ultimo anno del prezzo del gasolio del 23% e di quello della benzina del 15%, da gennaio 2019 si aggiungeranno ulteriori imposte che faranno aumentare il prezzo del gasolio di 6,5 centesimi al litro e quello della benzina di 2,9. Misure che si aggiungono all’inasprimento delle revisioni obbligatorie, all’introduzione di pedaggi all’ingresso delle principali città, all’abbassamento dei limiti di velocità sulle strade extraurbane da 90 a 80 km/h entrate già in vigore.
Insomma, tutti uniti per protestare contro il prezzo della benzina che è tra i più cari d’Europa, ma comunque inferiore a quello italiano. Da agosto a novembre, secondo i dati di Global Petrol Prices, il prezzo medio per un litro di carburante in Francia è stato di 1,55 euro, contro una media mondiale di 1,41 euro. Sul versante italiano, invece, secondo l’ultima rilevazione del 12 novembre, la benzina costava 1,65 euro. E da agosto a oggi il picco è stato raggiunto il 22 ottobre, quando per un litro di verde si sono sborsati 1,67 euro al litro. E se tra i Paesi europei l’Italia è messa peggio, con il secondo prezzo più alto in assoluto dopo la Norvegia, nel confronto mondiale si arriva addirittura al triste posizionamento al sesto posto dopo Hong Kong, Barbados, Norvegia, Wallis e Futina e Monaco.
A incidere sul conto di un pieno in Italia, come è noto, sono le accise, un’imposta fissa da 0,728 euro al litro sulla benzina e da 0,61740 sul gasolio. Introdotte nel corso dei decenni per finanziare guerre ormai archiviate nei libri di storia, disastri o ricostruzioni post calamità naturali – se ne contano 20 dal 1935 al 2014 – le accise sono state riunificate dal decreto Dini del 1995, mentre la legge di Stabilità del 2013 le ha reso strutturali insieme al Fondo dello spettacolo, la crisi libica, le alluvioni di Liguria e Toscana, il decreto Salva Italia, il terremoto Emilia e l’emergenza Abruzzo.
Così, millesimi su millesimi, le accise sulla benzina nel 2017 hanno garantito introiti per le casse dello Stato per 26,7 miliardi, l’81% della fiscalità energetica. Per rendere l’idea le accise valgono 14 volte e mezzo il canone Rai e, ad oggi, rappresentano circa il 60% di quanto paghiamo al distributore ogni volta che facciamo rifornimento, compresa l’Iva al 22%. “Una forte incidenza che, anche se gli italiani non conoscono, alla fine è stata sempre subita senza particolari rimostranze, perché da sempre è così. I carburanti sono stati oggetto di rincari da parte di tutti i governi ai quali risulta complicato intervenire con tagli, che comporterebbero riduzioni di gettito difficilmente compensabili”, commenta Antonio Sileo, columnist di Staffetta energetica. Insomma, come a dire che gli automobilisti danno per scontato che con la benzina, così come con i giochi o con i tabacchi, si debba fare cassa.
Anche nel contratto di governo gialloverde era stato previsto di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina”, così come le ha chiamate Matteo Salvini ipotizzando prima uno sconto di 20 centesimi e poi auspicando un’imminente diminuzione di 11,3 centesimi al litro, che si sarebbe tradotta in oltre 4 miliardi in meno di introiti per l’erario, Iva esclusa. In realtà, nel testo della manovra licenziato dal governo e al vaglio del Parlamento, l’ipotetica sforbiciata è scomparsa. E la Lega ora si è data tempo fino al 2020 per abbassare i prezzi alla pompa e mettere fine all’automatismo che prevede gli scatti annuali. Intanto però, a livello regionale, il Carroccio è riuscito ad evitare che la Liguria aumentasse le accise per l’emergenza del ponte Morandi, riuscendo anche a tagliare il prezzo del carburante di 5 centesimi al litro attingendo al fondo stanziato nel decreto Genova. Che gli italiani non hanno intenzione di scendere in piazza e protestare come i francesi si è capito bene negli scorsi giorni quando il ministro dell’Ambiente Costa ha ipotizzato l’abolizione del bollo dell’auto facendo pagare di più a chi inquina. Una sorta di tassa in base all’utilizzo della vettura, in una proporzione perfetta tra inquinamento prodotto e accisa al rifornimento. Proprio il punto che viene contestato a Macron. E se il taglio delle accise non c’è, dovrebbe essere scongiurato anche il rischio di un loro aumento nel 2019. Nella legge di Bilancio è stata infatti prevista la sterilizzazione dell’aumento delle tasse sui carburanti, perché con l’abolizione dell’aiuto alla crescita economica (Ace) non servono più risorse per finanziarlo.