Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 21 Mercoledì calendario

Il viaggio di O’Connell nel transumanesimo. Intervista

Una setta alla quale non si ammette di appartenere ma che ha nelle sue fila nomi importanti dell’industria hi-tech. Il suo pensiero pervade la Silicon Valley, promette una vita ( quasi) eterna e crede nella tecnologia rimodulando il pensiero positivo di Louise Hay. Essere una macchina ( Adelphi) del giornalista irlandese Mark O’Connell, che presenta domenica 25 alla Triennale di Milano, è un viaggio nel transumanesimo: l’ultima incarnazione del sogno di superare i confini della natura e trascendere quelli del corpo grazie ad algoritmi, robotica, medicina predittiva.
«Molte delle idee del transumanesimo sono irrealistiche, come quella di copiare la nostra mente in forma digitale», racconta O’Connell. «Ma ce ne sono alcune che mirano all’estensione della vita usando tecnologia già disponibile».
A chi e cosa si riferisce?
«Penso alle startup mediche sulle quali punta il Longevity Fund di Laura Deming. Ma anche agli investimenti di Google in biotecnologia e nell’analisi delle radiografie operate dall’intelligenza artificiale, un settore nel quale Facebook l’ha seguita. O ancora a Peter Thiel, cofondatore di PayPal, che assieme a Jeff Bezos di Amazon sta iniettando decine di milioni di dollari in aziende come la Unity Biotechnology».
Bezos, Thiel, Zuckerberg di Facebook, Brin e Page di Google, sanno di essere transumanisti?
«Eccezion fatta per Ray Kurzweil (pioniere nel campo del riconoscimento digitale dei testi e teorico della singolarità oggi in forza a Google, ndr), nessuno di loro lo ammetterebbe mai. Questo movimento ha preso una deriva estrema poco credibile, ridicola a tratti, teorizzando ad esempio la migrazione verso una forma di vita digitale».
È la classica separazione fra corpo e mente.
«Infatti. Anche se in questo caso i dogmi di fondo non sono religiosi ma hanno come punto di partenza la scienza. È una delle forme più acute di individualismo mischiato alla tecnologia che riflette una parte importante della nostra società».
L’oggettivismo di inizio Novecento di Ayn Rand in versione 2.0?
«Non solo, è una fede che in qualche maniera ricorda anche la fiducia nel progresso del futurismo italiano, stavolta con una buona dose di infantilismo e molti soldi a disposizione. Tanti transumanisti sono cresciuti a pane e fantascienza e ora sognano una mente " aumentata" dalla tecnologia o un corpo che supera agilmente i cento anni. Fra di loro sono poche le donne, per lo più è un’ossessione maschile di persone che lavorano dell’industria hi-tech».
Alcuni di loro sono noti. Nel suo libro cita fra gli altri Elon Musk, a capo di Tesla e SpaceX.
«Musk è un caso interessante. Da un lato teme che l’intelligenza artificiale possa portare all’estinzione dell’umanità, dall’altro ha cofondato Neuralink, un’azienda che vuol studiare la possibile interconnessione diretta fra computer e mente umana. Un progetto palesamene transumanista».
Questo è il suo primo saggio. Perché ha deciso di passare due anni a viaggiare per il mondo inseguendo i transumanisti?
«Il fatto che figure così influenti della Silicon Valley abbiano resuscitato il mito del superamento della morte, mi sembra sia la metafora più incisiva del capitalismo di oggi. E in quanto tale, come avrebbe detto J. G. Ballard, valeva la pena raccontarla».
Di cosa si occuperà nel prossimo saggio?
«Lo sto finendo. Parla dell’apocalisse».
Dalla vita eterna alla fine del genere umano. Ha deciso di procedere per estremi.
«Già, ma in entrambi i casi è sempre coinvolta la tecnologia».