Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 21 Mercoledì calendario

Il documentario di Cristina Comencini “Sex story”

Come eravamo sexy. La valletta muta di Mario Riva, la trattativa per la minigonna della giovane Ciuffini, le gambe “femministe” delle Kessler, la frittata e il perizoma della Casini, il bagno in vasca di Sandrelli-Spaak, Grace Jones in bikini che canta Anema e core, fino alle donne legate di Stryx. E poi le indagini per strada e in classe, uomini e donne.
I Settanta, l’allegria, la libertà. I consultori vandalizzati, Cicciolina, i nudisti e il sesso come bere un bicchier d’acqua. La mercificazione, la deriva verso gli anni Ottanta, la rivoluzione delle tv private. Sex Story, molto atteso al Torino Film Festival che s’apre il 23 novembre, è il documentario firmato da Cristina Comencini e Roberto Moroni (montatore Edoardo Morabito, produttore Giannandrea Pecorelli), che ripercorre trent’anni d’Italia televisiva tra costume e spettacolo, inchieste, interviste, dibattiti e documentari, balletti, quiz, sigle. «È davvero una storia della sessualità raccontata attraverso la tv, che registrava a sua volta la società», dice Cristina Comencini. L’idea è nata prima di sapere che avrebbero trovato una miniera di immagini nelle Teche Rai, la sfida era di far parlare le immagini senza commenti, né giudizi su comportamenti legati al momento storico.
La stagione televisiva s’apre con vallette e signorine buonasera. «Anche quando le donne erano coperte e non si parlava di questi argomenti, le presentatrici, le vallette, entravano nelle case degli italiani e li facevano sognare, anche a livello di desiderio sessuale. Trovo irresistibile il racconto che fa Sabina Ciuffini sulla trattativa per la gonna corta. In un paese cattolico in cui il desiderio pruriginoso è legato al binomio moglie-amante, la rottura arriva a fine Sessanta, con la gonna corta appunto: l’idea è suscitare pensieri nuovi ma non troppo, la tv è vista dalle famiglie, ma anche dai giovani che stanno rompendo tutto in materia di sessualità». Gli anni Settanta «sono spesso visti in Italia solo come politici, nel senso della politica diretta. Invece sono stati anni in cui è cambiato completamente il rapporto con il corpo della donna, la sessualità uomo-donna, fino a degenerare in sorta di falsa facilità, come il tizio nudista sulla spiaggia che dice “per me il tradimento è come bere un bicchiere d’acqua"». Fuori dalla tv, le donne che spingono per il cambiamento: «Si consuma in tv la rottura completa con ciò che si era visto fino ad allora, i servizi sulla prevenzione delle nascite, su come si mette la spirale, cose che noi oggi neanche immaginiamo di poter vedere e che allora erano televisione pubblica». Ma anche le devastazioni vandaliche del consultorio femminile: «La prevenzione creava angoscia nell’uomo perché regala libertà sessuale alla donna». E, d’altra parte, c’è un altro paese, arretrato. Quest’onda è dapprima una liberazione enorme, «Spaak e Sandrelli nella vasca da bagno insieme in tv sono l’immagine di divertimento, quella frenesia che abbiamo conosciuto tutte noi all’epoca. Una frenesia, se pensiamo da dove veniamo e nel film è chiaro, che è stata una meravigliosa, ubriacatura.
Poi si sono come oltrepassati dei limiti, c’è stata una deriva», ragiona Comencini. «C’è Stryx, quel programma micidiale con l’harem e le donne legate... lì si capisce che si è andati oltre, si anticipa quel nudo che vedremo nelle tv private. Mercificazione, non più liberazione reciproca di uomini e donne, senza l’allegria di fine anni Sessanta. È come un tornare indietro». Ma il mistero del rapporto tra i sessi non può essere svelato da nessun nudo.
«Alla fine abbiamo scelto quella bellissima classe con la bambina che si chiede: da dove dobbiamo iniziare? Per amarsi bisognerebbe imparare a conoscersi». Il film si chiude negli anni Ottanta, ma suscita qualche pensiero sull’oggi: «Riflettendoci, allora la televisione riusciva a registrare i cambiamenti del costume nella società e negli studi televisivi. Oggi si parla solo di politica, non più di costume. Come se la società italiana possa essere raccontata solo attraverso la politica. E non c’è tutto quel grande lavoro a cui partecipò anche mio padre, le inchieste di costume di Gregoretti e di tanti altri, in cui si mostrava il cambiamento del nostro Paese. Le questioni delle molestie, del femminicidio, limitano la libertà di esprimerci. È come se avessimo perso una certa innocenza e avessimo paura. Provi a raccontare e ti chiedi: ma si potrà fare questo? Anche per questo rivedere quelle immagini, quell’allegria, quell’incoscienza di allora è stato un grande stupore».