il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2018
Salvini e gli inceneritori
La Caporetto di Salvini nella campagna campana sugli inceneritori è stata ovviamente oscurata dai giornaloni, dei cui padroni il Cazzaro Verde è l’idolo incontrastato. E infatti la dice lunga su di lui e sulla cosiddetta informazione. Dal crollo del ponte di Genova e poi ancor più chiaramente dalla marcetta di madamine e umarell Sì Tav a Torino, si è ricomposto attorno alla Lega quel partito trasversale degli affari che per vent’anni aveva puntato tutto su B. e negli ultimi quattro su Renzi. Rovinandoli entrambi. Non il partito degli imprenditori, che sono gente seria, ma quello dei prenditori all’italiana, quei questuanti straccioni che non hanno mai avuto un’idea né rischiato un euro in vita loro. E infatti sono sempre lì con la mano tesa sotto i palazzi della politica a chiedere elemosine sotto forma di appalti, sussidi, provvidenze, grandi opere, Tav, inceneritori, discariche, cliniche convenzionate, giornaletti assistiti, purché sia tutto a carico dello Stato tranne i guadagni (nella migliore tradizione del “privatizzare gli utili e socializzare le perdite”). Ora questi parassiti della società, dopo l’estinzione dei loro santi patroni Pd&FI, si aggrappano a Salvini come all’ultima àncora di salvezza. E lui gli dà corda, immemore della fine miseranda di chiunque li abbia assecondati. B. li prese sul serio con la famigerata Legge Obiettivo e il Ponte sullo Stretto, e finì seppellito da un’omerica risata. Renzi raccolse il testimone, diventando il trombettiere di Confindustria, Confcommercio, Confqua e Conflà, tagliando su misura per loro il decreto SbloccaItalia e la controriforma costituzionale, che dovevano velocizzare le procedure e velocizzarono solo il suo tramonto.
Ora il bacio della morte tocca a Salvini che, non avendo alcun progetto di gittata superiore alle 24 ore, si fa dettare la linea da questi amorevoli portajella nella speranza che la gente ci caschi. Soprattutto da quando s’è accorto che i migranti non tirano più. Così frena sulla revisione delle concessioni pubbliche, da Autostrade in giù. Poi delira di “completare la Tav Torino Lione”, senza sapere bene cos’è (un treno merci: il Tav) e che non c’è nulla da completare, perché i lavori non sono neppure iniziati (se avesse interpellato i suoi deputati piemontesi Alessandro Benvenuto ed Elena Maccanti, l’uno presidente della commissione Ambiente e Lavori pubblici e l’altra capogruppo in commissione Trasporti, gli avrebbero ripetuto ciò che han detto un mese fa: “Vanno sospesi i bandi di gara per l’appalto del tunnel di base in attesa dell’analisi costi-benefici: se dimostrerà che i costi superano i benefici, ne trarremo le conseguenze”).
Infine i suoi ultimi acquisti in Campania, tutta brava gente che stava con Giggino ’a Purpetta e Cosentino, gli raccontano che c’è un’emergenza rifiuti e va risolta in quattro e quattr’otto con nuovi inceneritori (che, anche cominciando subito i lavori, sarebbero pronti fra 7-8 anni). E lui ripete a pappagallo, citando il modello di Brescia (il più grande e più cancerogeno inceneritore d’Italia) e scordandosi il contratto di governo che s’ispira al modello opposto di Treviso. Lì nel 2010 il primo consigliere dei 5Stelle in un capoluogo, David Borrelli, fece approvare alla Lega un ordine del giorno anti-inceneritori. Con risultati strepitosi. Treviso ha chiuso i due termovalorizzatori e produce 386 kg di rifiuti pro capite (contro una media italiana di 497 ed europea di 477), con una differenziata dell’85% e una tassa rifiuti di 185 euro pro capite (la media nazionale è 304). Merito della Lega, che seguì sulla strada dei “rifiuti zero” i neonati 5Stelle, quando la Provincia era guidata da Luca Zaia, ora governatore del Veneto. E anche di Laura Puppato, allora sindaca Pd di Montebelluna, e della sua consulente Paola Muraro (poi assessore della giunta Raggi, costretta alle dimissioni da una campagna di stampa oscena e da un’inchiesta della Procura di Roma basata sul nulla).
Ieri, sul Fatto, Ferruccio Sansa ha rinfrescato ai leghisti la loro memoria corta. Ancora il 10 marzo 2017 Salvini elogiò pubblicamente i suoi consiglieri regionali umbri Fiorini e Mancini, che si battevano “contro l’inceneritore di Terni voluto da Renzi”, con mega-manifesti (“Ambiente e salute, non mandiamoli in fumo”); “Grazie per quello che state facendo dentro il palazzo, da fuori mi arrivano tante testimonianze di fiducia e solidarietà. Grazie Lega, perché sulla salute non si scherza, ci sono in ballo posti di lavoro, c’è in ballo la salute di tanti figli”. Lo stesso accadeva l’anno prima in Lombardia, dove l’assessore all’Ambiente, la leghista Terzi, si batteva non solo contro la costruzione di nuovi termovalorizzatori, ma addirittura per smantellarne di già esistenti (“rivedere tutta l’impiantistica”). Idem in Toscana, col no dei leghisti agli inceneritori di Firenze e Grosseto. E pure in Liguria, dove Edoardo Rixi, oggi viceministro delle Infrastrutture, tuonava contro il progetto dell’inceneritore Scarpino a Genova: “La decisione dei politicanti di centrosinistra sul termovalorizzatore vuole aiutare i compagni Bassolino e D’Alema a risolvere i problemi delle discariche sature nel Mezzogiorno. Ma non tiene conto delle decine di migliaia di cittadini che subiranno danni alla salute”. Naturalmente negli ultimi giorni, mentre Salvini cancellava dieci anni di battaglie, nessuno di questi impavidi combattenti ha fiatato. Ma l’han fatto per loro migliaia di militanti, tempestando di proteste i suoi social. I suoi bravi comunicatori gliel’han fatto notare. E lui, che ne è succube, ha prontamente rinculato, cedendo a Di Maio e Conte e tornandosene a Roma con la coda fra le gambe. Il che dimostra che non bisogna mai sopravvalutare nessuno, neppure Salvini. E che gli elettori sono sempre più avanti degli eletti, persino nella Lega.