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 2018  novembre 20 Martedì calendario

Gli asini non sono intelligenti

Avvisiamo il lettore: questo libro è per stomaci forti, nel senso che le persone sensibili innamorate degli animali, capaci di provare anche rispetto nei loro confronti, soffriranno da morire leggendolo. È L’asino (edizioni Animalia Nottetempo, pagg.272, euro 18) di Jill Bough (docente di lettere e filosofia all’Università di Newcastle, Australia), più che un saggio è un appassionato ritratto, a trecentosessanta gradi, in difesa dell’animale più bistrattato dall’uomo (che ha scelto proprio il suo nome come simbolo per eccellenza dell’ignoranza), e paradossalmente (quale ingiustizia!), anche la bestia da soma che gli è stata più utile da circa diecimila anni, cioè da quando è iniziata la sua domesticazione. Ha trasportato prodotti agricoli, merci, legname, pietre, viveri e armi per gli eserciti, dall’alba al tramonto ha fatto girare macine di enorme peso per produrre farina. E lo fa ancora in molti paesi in via di sviluppo, ovunque gli asini sono considerati i migliori animali da tiro. Perché hanno la vita lavorativa più lunga, richiedono poco cibo e resistono nelle zone più aride, pure alle malattie, secondo alcuni sono dotati di una capacità di apprendimento più elevata non solo di muli e buoi, ma persino dei cavalli. Appassionante l’iter storico che li riguarda, da tempi antichissimi, addirittura dalla Bibbia (i ciuchi sono presenti nelle tre religioni monoteiste, cristiana, ebrea ed islamica) ma in particolare, ci riguarda da vicino, furono fondamentali nei nostri Vangeli. Dove sono menzionati due asinelli molto importanti: uno trasportò Maria sino alla grotta di Betlemme, insieme ad un bue avrebbe riscaldato con il suo fiato il neonato divino.

IN GUERRA
L’altro, guidato da Giuseppe, prese in groppa Maria e Gesù verso l’Egitto per salvarlo dalla strage degli innocenti. Destinati ad essere rappresentati nell’arte dei grandi, e da secoli appaiono nelle natività di cattedrali e musei di tutto il mondo. Curiosità a proposito del loro raglio: in molti paesi è stato considerato come voce del diavolo e degli stolti, o viceversa di angeli e usignoli. La parte più straziante sulle sofferenze degli asini (e dei muli, parenti stretti, visto che nascono dall’incrocio di un asino con una cavalla) come dicevamo all’inizio, viene dal loro sfruttamento nelle guerre. Già dai tempi dell’età del bronzo, i Siriani li utilizzavano per il traino di carri da guerra, passando per i romani e sino ai nostri giorni. Lo scempio più grande degli asini, così come per i nostri giovani soldati, i ragazzi del ’99, ai quali si accompagnavano, avvenne durante la Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano. Vale anche per i muli. E furono gli asini i più docili e pazienti adibiti al trasporto dei feriti, addirittura bravissimi a trasferirli sino ai tavoli della sala operatoria, capaci di mantenere la calma in mezzo al fuoco, continuando a lavorare nell’infuriare delle battaglie. Quasi facessero parte dei volontari della Croce Rossa. La parte più ludica del volume arriva con gli asini citati in letteratura e al cinema. E l’autore cita Don Chisciotte, raccontando il rapporto di Sancho Panza con il suo asinello, «che porta stabilità e sicurezza nella sua vita».

AL CINEMA
In particolare sottolinea la gioia dello scudiero nel ritrovare il fido quadrupede: «Sancho s’avvicinò al suo ciuco e abbracciandolo gli disse: ?Come stai mio bene, ciuco degli occhi miei, compagno mio??. E lo baciava e accarezzava come se fosse una persona. L’asino taceva e si lasciava baciare e accarezzare da Sancho senza rispondergli parola». Al cinema fu Robert Bresson a ritrarlo con dolorosa efficacia nel suo Au hasard Balthazar (’66), dove l’asino è rappresentato sia come animale destinato a soffrire, sia come simbolo di purezza e umiltà. Bresson diceva di aver considerato l’asino come «il più importante, il più sensibile, il più intelligente, il più riflessivo, il più sofferente degli animali». Balthazar era maltrattato dagli umani crudeli, eppure continuava a lottare quotidianamente come se sperasse in un miracolo, sino al giorno in cui ferito e sanguinante, va a morire in un prato alpino, circondato dalle pecore. E poi arriverà l’asinello di Shrek, l’amico del gigante verde: Ciuchino non ha casa, e per mantenersi deve lavorare sodo nel ruolo di servile compagno di viaggio. Noi invece vorremmo che tutti gli asinelli del mondo potessero sempre avere il musetto allegro del loro fratello dipinto da Giotto nell’immortale affresco della Fuga in Egitto, Cappella degli Scrovegni, anno 1304-06, Padova.