Il Messaggero, 20 novembre 2018
Lo stop di Netanyahu agli ebrei etiopi e la fine dell’immigrazione senza regole
Frontiere chiuse in Israele, anche agli etiopi ebrei. Non scalfiscono il premier Benjamin Netanyahu nemmeno le proteste di centinaia di persone che ieri sono scese in piazza ad Addis Abeba, per contestare la decisione del governo di ammettere come migranti solo mille degli ottomila ebrei Falascia che si trovano in Etiopia e che hanno fatto richiesta di raggiungere le famiglie in Israele. Una decisione che risale allo scorso settembre, quando il leader del partito Likud aveva ufficializzato la stretta, dopo la conclusione dei lavori di una commissione ministeriale per l’integrazione degli immigrati.
UN MODELLO ESPORTABILE
Un modello esportabile in altri Paesi, come ad esempio in Italia, dove negli ultimi mesi la linea del Viminale, nonostante la resistenza della Ue, ha portato a una decisiva riduzione degli sbarchi. La scelta di Salvini, di bloccare i flussi migratori e gli ingressi è legata anche a un forte allarme sociale, che rischiava di avere conseguenze molto pesanti. E Israele, del resto, motiva la stretta proprio con ragioni di sicurezza, schierandosi contro l’accoglienza potenzialmente indiscriminata. Da un lato peserebbero le dimensioni – ristrette – dello Stato d’Israele. Dall’altro, la preoccupazione del governo che gli ingressi senza controlli, comportino rischi per la tenuta del tessuto sociale. Un po’ quello che pensano rappresentanti del governo italiano ma anche pezzi dell’intelligence, che più volte hanno segnalato la possibilità che sui barconi in arrivo in Sicilia possano nascondersi terroristi pronti a colpire. Una situazione che ha spinto Netanyahu a rivedere, almeno in parte, l’impegno israeliano del 2015. Quello che garantiva l’accoglienza indiscriminata. In Israele vivono infatti circa 135mila Falascia e, tre anni fa, il governo aveva adottato un piano per portare nel Paese i rimanenti ebrei etiopi entro il 2020, dopo un’ondata di proteste a Gerusalemme e Tel Aviv, culminate in tafferugli e scontri con la polizia, accusata di razzismo.
LA VICENDA
In realtà, pur avendo radici ebraiche, i Falascia sono considerati dal rabbinato convertiti al cristianesimo e, dunque, non sarebbero autorizzati a raggiungere Israele secondo la Legge del Ritorno, ma devono ottenere dal governo un permesso speciale. In questo caso, si tratta di una sorta di ricongiungimento familiare, per questo il premier aveva specificato che sarebbero state aperte le porte solo a quelle persone la cui famiglia si trovi già nello Stato.
Il programma si era inizialmente incagliato perché il finanziamento del progetto migratorio non era stato inserito nel bilancio dello Stato. Nel 2017, il ministro delle Finanze aveva poi destinato i fondi per l’immigrazione di 1.300 etiopi, arrivati in Israele prima della fine dell’anno. Pochi mesi fa, però, nel bilancio per il 2019, non era stata prevista nessuna spesa alla voce immigrazione. Da qui, dopo tre rinvii, la presa di posizione di Netanyahu durante la commissione interministeriale. Una decisione che Alisa Bodner, portavoce della comunità etiopica israeliana, ha bollato come «un’incredibile delusione». Mentre ieri i dirigenti della comunità hanno rivolto un appello agli ebrei etiopi che vivono in Israele a non votare il partito Likud: «Perché il premier espresso dal partito, Netanyahu, non sta tenendo fede alla parola data», ha dichiarato Neggousa Zemene Alemu, coordinatore della comunità ebraica per Addis Abeba e Gondar. Gli ebrei in Etiopia – ha aggiunto – lamentano di vivere in povertà, marginalizzati, mentre «Israele la tira per le lunghe invece di venire in nostro soccorso».