il Fatto Quotidiano, 20 novembre 2018
Anthony Bourdain, operazione ribollita
Non si butta via niente, nemmeno di un morto: meglio, però, affrettarsi a riesumarlo perché la fama – post mortem – ha vita breve e i pettegolezzi – after suicide – ancora meno. C’è un cadavere in libreria: Anthony Bourdain, ammazzatosi nemmeno sei mesi fa e resuscitato nemmeno dieci giorni fa grazie a una sciagurata, pelosissima, sgradevole operazione commerciale di Rizzoli.
La casa editrice milanese ha pensato bene (male) di ripubblicare uno dei due romanzi gialli dello chef-personaggio-attore-voltotelevisivo-scrittore-rockstar dopo quasi vent’anni dall’uscita: Gone Bamboo risale, infatti, al 1997 e nel 1999 arrivò in Italia con Mondadori e il titolo Un mestiere difficile. Anche di quella versione non si è buttato via niente, o quasi, mantenendo persino la traduzione di Ranieri Carano: meno si spende, meglio è; basta un furbo trucco e parrucco del titolo (e della copertina) per ridare freschezza e sex appeal alle pagine.
E qui arriva il macabro colpo di scena: Un paradiso da morire, così è stato ribattezzato il libro di un autore che si è da poco impiccato. Ma guai a ricordarlo al lettore; la morte è solo un’esca pubblicitaria, buona giusto per la sovraccoperta, dopodiché va subito insabbiata, specie se violenta e autoprocurata: nell’aletta riservata alla biografia si apprende solo che Bourdain “è scomparso l’8 giugno del 2018 a Kaysersberg, vicino a Strasburgo”, mentre nell’altra lo si definisce un “cultore del cibo e divulgatore di fama mondiale, capace di soddisfare (con questo crime dissacrante) anche i palati più esigenti”. Intanto in copertina il romanzo viene sponsorizzato come una favolosa “black comedy”, piena di “emozione e suspense”. La commedia, però, non è pervenuta.
Sa anzi di tragedia, o di farsa, l’intera – penosa – manovra editoriale, ai limiti dello sciacallaggio, forse inconsapevole, ma peggio mi sento. Non bastassero le gaffe (eufemismo) succitate, ci si mette la “nuova” prefazione ad annegare nel macabro l’opera e il suo creatore: si tratta infatti di una annotazione garrula del 2000, scritta da un ironico Bourdain a mo’ di introduzione, per spiegare che questo è “un libro da spiaggia con un che di sociopatico… Volevo un eroe e un’eroina pigri, venali, lussuriosi e privi di qualità redentrici, proprio come mi sento io a volte”. La redenzione, però, non è pervenuta.
La trama è alcolico-godereccia, e protagonisti sono un ex sicario e sua moglie, che decidono di mollare lo stressante tran tran dei morti ammazzati per rifarsi una vita e una verginità e spassarsela (la vita!) ai Caraibi, tra “sole, spiagge bianche, tanti cocktail e buon sesso”, salvo poi vedersi raggiungere da uno spietato boss mafioso: davvero Un paradiso da morire. E non è l’unico dettaglio di cattivo gusto: a ravanar nel torbido le coincidenze si trovano sempre. “Non torneremo mai indietro” è questa la battuta finale del romanzo, sbozzato in una camera d’albergo, ovvero lo stesso set del suicidio reale.
“All’interno della mia cucina so come comportarmi (diversamente da quanto mi accade nella vita di tutti i giorni, dove mi trovo su un terreno meno solido)”, appuntava – ancora nel 2000 – un lucidissimo Bourdain a margine di Kitchen Confidential, arrivato in Italia con Feltrinelli nel 2002: fu quello il bestseller che lo consacrò in mezzo mondo, lanciandolo dalla padella alla brace dell’intellighenzia internazionale, lui che pure vantava la firma sul pretenzioso New Yorker (con l’articolo Don’t Eat Before Reading This), era una star indiscussa delle serie tv e si era già felicemente cimentato nella narrativa nel 1995, col noir Bone in the Throat, uscito in italiano, come Un osso in gola, solo nel 2007 per Marsilio.
Un osso in gola, Un mestiere difficile, Kitchen Confidential, Il viaggio di un cuoco, Les Halles Cookbook, Avventure agrodolci: l’americano (1956 – 2018) può essere a buon diritto annoverato nel pantheon degli scrittori in preda al “dio selvaggio” (© W. B. Yeats), condannati a morte volontaria dal “vizio assurdo” (© Cesare Pavese). Non a caso la sua ex – e ultima – compagna Asia Argento ha scomodato per lui il “male oscuro”, nobilitando la depressione a categoria letteraria. E forse è proprio così.
Sylvia Plath, Thomas Chatterton, Gérard de Nerval, Virginia Woolf, Paul Celan, Marina Cvetaeva, Ernest Hemingway… il catalogo degli autori suicidi è lungo, ma, dalla vestaglia rossa di Romain Gary alla cintura dell’accappatoio di Anthony Bourdain, il passo è breve, per nulla incerto. “E, per favore, niente pettegolezzi” (© Majakovskij).