Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2018
Petrolio, la Russia semina incertezza sui tagli produttivi
La Russia semina incertezza sui mercati petroliferi e gli hedge funds, in attesa del vertice dell’Opec Plus, si sono messi alla finestra: con le liquidazioni della settimana scorsa l’esposizione iper-rialzista è scomparsa, cedendo il posto a un’orientamento considerato neutro. Su Brent e Wti le posizioni nette lunghe (all’acquisto) degli speculatori equivalgono a 380 milioni di barili, più che dimezzate da settembre, un livello –?fa notare John Kemp, analista di Reuters – che corrisponde a quello fisiologico, espresso da investitori passivi di lungo termine.
Salvo sorprese, è probabile che non ci sarà un convinto riposizionamento prima del 6-7 dicembre, quando la coalizione Opec-non Opec si riunirà a Vienna. E anche ieri per il greggio è stata una seduta volatile: il Brent ha rivisitato i minimi dell’anno a 65,27 $/barile, per chiudere stabile a 66,79 $.
Il possibile taglio di produzione evocato dai sauditi non appare più scontato. O almeno questa è l’impressione che vuole dare Mosca, imprescindibile alleata dell’Opec. Il ministro russo Alexandr Novak ieri è stato ancora più chiaro del solito: prima di decidere un cambio delle politiche, ha detto, «abbiamo bisogno di vedere come si sviluppa la situazione a novembre e ai primi di dicembre, per capire meglio sia le attuali condizioni del mercato che l’outlook per l’inverno». «Occorre prendere una decisione equilibrata – ha insistito Novak – e finora non ci sono criteri per farlo».
Comunque sia le tensioni commerciali Usa-Cina, ben lontane da una tregua sul fronte dei dazi, non depongono bene per l’economia globale (e dunque per i consumi petroliferi), mentre l’offerta di greggio continua a crescere, negli Usa e non solo. Dopo oltre un anno, è riuscito a ripartire anche l’export da Kirkuk, area contesa tra il Governo centrale iracheno e l’autonomia curda: le pressioni di Washington hanno spinto a un accordo per inviare via pipeline verso la Turchia 50-100mila barili al giorno. E a sorpresa persino la Libia contribuisce a gonfiare l’offerta: le estrazioni sono raddoppiate in un anno a 1,3 milioni di bg, e ora il Paese nordafricano punta i piedi di fronte a un possibile coinvolgimento nei tagli, da cui finora è esonerato.