Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 20 Martedì calendario

Petrolio, la Russia semina incertezza sui tagli produttivi

La Russia semina incertezza sui mercati petroliferi e gli hedge funds, in attesa del vertice dell’Opec Plus, si sono messi alla finestra: con le liquidazioni della settimana scorsa l’esposizione iper-rialzista è scomparsa, cedendo il posto a un’orientamento considerato neutro. Su Brent e Wti le posizioni nette lunghe (all’acquisto) degli speculatori equivalgono a 380 milioni di barili, più che dimezzate da settembre, un livello –?fa notare John Kemp, analista di Reuters – che corrisponde a quello fisiologico, espresso da investitori passivi di lungo termine. 
Salvo sorprese, è probabile che non ci sarà un convinto riposizionamento prima del 6-7 dicembre, quando la coalizione Opec-non Opec si riunirà a Vienna. E anche ieri per il greggio è stata una seduta volatile: il Brent ha rivisitato i minimi dell’anno a 65,27 $/barile, per chiudere stabile a 66,79 $.  
Il possibile taglio di produzione evocato dai sauditi non appare più scontato. O almeno questa è l’impressione che vuole dare Mosca, imprescindibile alleata dell’Opec. Il ministro russo Alexandr Novak ieri è stato ancora più chiaro del solito: prima di decidere un cambio delle politiche, ha detto, «abbiamo bisogno di vedere come si sviluppa la situazione a novembre e ai primi di dicembre, per capire meglio sia le attuali condizioni del mercato che l’outlook per l’inverno». «Occorre prendere una decisione equilibrata – ha insistito Novak – e finora non ci sono criteri per farlo». 
Comunque sia le tensioni commerciali Usa-Cina, ben lontane da una tregua sul fronte dei dazi, non depongono bene per l’economia globale (e dunque per i consumi petroliferi), mentre l’offerta di greggio continua a crescere, negli Usa e non solo. Dopo oltre un anno, è riuscito a ripartire anche l’export da Kirkuk, area contesa tra il Governo centrale iracheno e l’autonomia curda: le pressioni di Washington hanno spinto a un accordo per inviare via pipeline verso la Turchia 50-100mila barili al giorno. E a sorpresa persino la Libia contribuisce a gonfiare l’offerta: le estrazioni sono raddoppiate in un anno a 1,3 milioni di bg, e ora il Paese nordafricano punta i piedi di fronte a un possibile coinvolgimento nei tagli, da cui finora è esonerato.