Il Sole 24 Ore, 20 novembre 2018
Inno di Mameli e sveglia alle sei: modello Bergamo per gli immigrati
In uno dei territori più leghisti d’Italia c’è chi prova a integrare gli immigrati attraverso l’insegnamento della cultura italiana e l’inserimento nelle aziende. L’iniziativa si chiama Accademia. Vagamente comparabile al modello Riace, almeno per quanto riguarda le finalità, questa sorta di scuola per stranieri è stata messa in piedi dalla cooperativa Rua, che da decenni a Bergamo si occupa di gestire gli extracomunitari, dalla giunta comunale guidata da Giorgio Gori, da Confindustria Bergamo. Un mix di attori che si sono trovati d’accordo di fronte a due constatazioni pratiche: nel territorio la disoccupazione è pari al 4% – quasi inesistente – e le aziende cercano non solo alti profili ma anche manodopera non reperibile tra gli italiani; il modo migliore per rendere sicura la città è insegnare agli immigrati la nostra lingua e le nostre leggi e dare loro una formazione professionale.
Impostata con orari e disciplina da boy scout, con tanto di adunate, controlli della divisa e canti dell’Inno italiano («ma solo perché con le canzoni si impara meglio la lingua italiana», spiegano gli educatori), l’Accademia per l’integrazione ha mosso i primi passi a settembre con i primi 30 immigrati. Viene estesa ai richiedenti asilo, su base volontaria, e i gestori puntano ad avere entro fine anno altre 30 adesioni (fino a 90 a regime).
Formazione e disciplina
L’Accademia si svolge in un ex ricovero. Chi è interessato fa un colloquio con gli educatori, che ne valutano la motivazione. Chi aderisce dovrà sottostare senza deroghe a una ferrea organizzazione da caserma: sveglia al mattino presto, consegna dei cellulari prima dell’ingresso in classe, lezioni dalle 8 alle 11. Poi pranzo autogestito e 3 ore di volontariato al giorno nelle strade della città, dove si fanno pulizie e si segnalano problemi e disagi all’amministrazione. La sera si studia. Ogni settimana c’è un capoclasse a cui viene data la responsabilità dell’andamento della scuola, con 5 colleghi che aiutano nei servizi. A turno preparano e servono i pasti, puliscono refettorio e cucina. Le camere devono essere sempre in ordine, i vestiti lavati e pronti.
È?l’accademia che fornisce tutto, usando i 35 euro previsti dallo Stato per ogni richiedente asilo. Gli studenti non devono spendere per nulla, ma non possono nemmeno lavorare fuori durante quest’anno di formazione.
Obbligo assoluto: parlare italiano sempre, anche fra immigrati, altrimenti si rischia una sanzione (ad esempio un turno in più di pulizia). È permesso uscire solo il sabato e la domenica sera fino alle 22, non oltre. I ragazzi sono sempre in divisa, in modo riconoscibile.
Dopo il primo semestre inizia la formazione in azienda. Nel pomeriggio si svolgeranno i tirocini pagati dalle imprese (per ora sono 7 quelle che hanno aderito al progetto, ma il numero è destinato a crescere). Da qui, si augurano i formatori, nasceranno dei contratti veri e propri.
Ideatore della scuola è Christophe Sanchez, che in passato è stato autore di trasmissioni come Paperissima o Scherzi a parte e che da qualche anno è tornato alla politica (prima nello staff di comunicazione di Matteo Renzi e ora come uomo di fiducia del sindaco Gori).
Nell’Accademia ci sono solo uomini, provenienti prevalentemente dall’Africa subsahariana, una media di 25 anni di età e bassa scolarizzazione. Esiste anche un percorso di integrazione femminile, gestito altrove da un’altra cooperativa, che però incontra più ostacoli per via del racket della prostituzione da cui le ragazze escono con più fatica.
Contro il decreto Salvini
A Bergamo ci sono 280 richiedenti asilo che alloggiano nel Cas. Lo Stato spende 35 euro a testa per gestirli, e come prevedono gli accordi internazionali non sono obbligati a lavorare o a studiare.
Il rimpatrio però è complicato e spesso impossibile, perché i paesi di origine rifiutano di riprendersi i propri concittadini.
Finora è intervenuta la questura, che in caso di riconoscimento del lavoro svolto o per ragioni umanitarie, ha concesso il permesso di rimanere a molti immigrati a cui la prefettura aveva invece negato l’asilo. Ma d’ora in poi, con il decreto Salvini che irrigidisce i “corridoi umanitari”, non sarà più possibile se non in rari casi.
A essere preoccupati sono soprattutto i vertici del Comune di Bergamo, che pongono il tema della sicurezza. Ma anche i rappresentanti delle imprese, che avrebbero bisogno di nuova manodopera, si dicono insoddisfatti. Per questo l’Anci Lombardia, su proposta di Bergamo, ha chiesto di poter riaprire la discussione alla Camera per introdurre un emendamento al decreto. «Ci auguriamo di poter proseguire con la nostra esperienza, che certo con questa legge viene messa a dura prova – dice il sindaco Giorgio Gori -. Per il momento andiamo avanti perché comunque è meglio avere nel territorio persone formate e integrate, anche se non con i documenti in regola, che immigrati esclusi dalla comunità».
Della stessa opinione, per ragioni diverse, è il presidente di Confindustria Bergamo Stefano Scaglia: «C’è preoccupazione per questo decreto, a Bergamo abbiamo un problema di fabbisogno di manodopera e questo programma di formazione lo garantirebbe»