Corriere della Sera, 20 novembre 2018
Il tempo pieno alle elementari? Così Di Maio ci metterà 21 anni
«D’ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno!», ha solennemente assicurato Luigi Di Maio. Che vuol dire «d’ora in poi»? «A partire da adesso», risponde la Treccani. Tuttoscuola, però, dubita: avanti così, con le assunzioni previste oggi, ci vorranno ventuno anni.
I soliti gufi, dirà il vicepremier. I soliti gufi riottosi a riconoscere il cambiamento. Proclamato con un video su Facebook: «Voglio darvi una buona notizia da condividere il più possibile: grazie ai nostri parlamentari della Commissione Istruzione della Camera (...) è stato approvato un emendamento alla Legge di Bilancio molto importante per la scuola e per i nostri figli». Segue un sorrisone e l’annuncio che dicevamo: «D’ora in poi in tutte le scuole elementari...»
Significa, spiega il leader grillino, che «i bambini potranno stare più tempo a scuola, potranno avere un percorso di istruzione più lungo, che gli consenta di stare più con gli insegnanti e approfondire ancora di più le materie, e allo stesso tempo permetterà ai genitori che lavorano tutto il giorno di sapere che anche il pomeriggio il loro figlio o la loro figlia starà a scuola con gli insegnanti, avrà un percorso formativo ancora più ricco». Senza dover pagare la baby-sitter o ricorrere ai nonni.
Riassumendo, esulta il Capo del Movimento 5 Stelle, si tratta di una misura di welfare importante anche «per gli insegnanti perché si sbloccano duemila nuovi posti di lavoro nella scuola e di questi circa il trenta per cento sarà in mobilità. Ovvero quella parte di insegnanti che per colpa della Buona Scuola sono stati «deportati» al Nord con un algoritmo che non abbiamo mai capito, e che adesso, per esempio, potranno tornare verso il Sud. Ma non perché il tempo pieno ci sia soltanto al Nord, ma perché molte scuole del Sud non hanno il tempo pieno, come diverse scuole del Nord, e gli effetti della Buona Scuola sugli insegnanti (li abbiamo visti negli ultimi anni) sono stati quelli di «deportare» verso Nord molti insegnanti che al Sud non trovavano cattedre. Poi ci sono molti insegnanti precari al Sud, che hanno scelto di non aderire alla follia di quell’algoritmo e anche per quelli ci sarà la gran parte dei posti che diventano stabili grazie al tempo pieno». Testuale.
«Insomma, un grande successo che non so se ve lo racconteranno, non so se girerà per l’importanza che ha...», mette in guardia il vicepremier. Vai a sapere se i «giornaloni», così tiepidi se non diffidenti nel dare le notizie dei passaggi più trionfali della rivoluzione grillina avranno il coraggio di enfatizzare la «bella notizia»...
Sia chiaro: anche se non tutti i genitori scelgono di lasciare i figli alla scuola al pomeriggio perfino quando hanno già la possibilità di farlo, puntare davvero sul tempo pieno per tutti è un obiettivo sacrosanto. Di più: un segnale di civiltà. Nonostante gli sforzi fatti in passato, ricorda Tuttoscuola nel numero in uscita, «in mezzo secolo di vita il tempo pieno nella primaria è cresciuto gradualmente in consensi delle famiglie, numero di iscritti e aumento di posti di docente, raggiungendo nel 2017-18, rispetto al dato complessivo nazionale, il 35,7 per cento di alunni iscritti e il 33,6 di classi funzionanti». Pochi. Troppo pochi. L’anno scorso, per fare un esempio, «hanno funzionato 130.462 classi di scuola primaria, di cui 43.804 (33,6 per cento) a tempo pieno con doppio organico (nel 2007-08 erano il 24,4 per cento). Le altre 86.658 classi operano per la maggior parte a ventisette ore settimanali». Il proposito di allargare il sistema a tutti, lasciando ai genitori semmai la scelta se accettare o meno, va benissimo. Ma perché non dire appunto «vogliamo assolutamente arrivare al tempo pieno per tutti» invece che dare per fatta una meta ancora lontana? D’accordo, fra sei mesi ci sono le elezioni europee... Però...
Il problema, ha calcolato la rivista diretta da Giovanni Vinciguerra, è che «mediamente nella scuola primaria normale operano in ogni classe un maestro e mezzo. Invece in quelle a tempo pieno i docenti sono due. Quindi per trasformare a tempo pieno tutte le 86.658 classi aperte oggi soltanto al mattino occorrerebbe aggiungere mezza unità di personale a classe: parliamo di 43.328 docenti». Oltre venti volte più di duemila: «Con duemila maestre in più l’incidenza delle classi a tempo pieno salirebbe al 36,6 per cento, non al 100 per cento», come lascia intendere il vicepremier...
Risultato: «Se l’emendamento pentastellato prevede per il solo 2019 quella prima quota di duemila posti, per generalizzare il tempo pieno occorrerebbero a questo ritmo ventuno anni». Per capirci: avanti così potremo tagliare il traguardo nel 2039, quando Giuseppe Conte sarà avviato verso l’ottantina. Per non parlare dei costi: l’assunzione di quei 43.328 docenti, stando alle tabelle contrattuali, costerebbe quasi un miliardo e mezzo in più l’anno. Per l’esattezza 1.382.321.000 euro.
Non basta: per offrire davvero il tempo pieno a tutti, insiste Tuttoscuola, «sono indispensabili spazi didattici e di laboratorio, e poi locali idonei per la mensa. Per alunni che passano le otto ore a scuola serve il servizio di refezione (attualmente è obbligatorio) per assicurare pasti caldi e dietetici» Problema: «Locali attrezzati, laboratori e servizi di mensa sono a carico dei Comuni che nelle proposte parlamentari non vengono neppure citati. È come fare i conti senza l’oste». Un esempio quasi marginale? Un pasto, in un comune virtuoso, costa circa cinque euro di cui uno se ne va spesso per le «scodellatrici». Quelle figure atipiche (scodellano nei piatti dei bambini la pastasciutta cotta altrove) create anni fa per subentrare nel compito alle «collaboratrici scolastiche», cioè le ex bidelle esentate per contratto.
Quanto alle maestre meridionali che potranno avere una cattedra vicino a casa dopo esser state «deportate a causa dell’algoritmo», i numeri purtroppo restano quelli: la stragrande maggioranza dei posti a disposizione (dove stanno gli studenti) è nelle regioni del Nord, la stragrande maggioranza dei docenti che sognano una cattedra in quelle del Mezzogiorno. E nessun algoritmo, scrive Tuttoscuola, per quanto quello della Buona Scuola possa esser stato sballato, «potrebbe mai capovolgere questa realtà».