la Repubblica, 20 novembre 2018
Perché non riusciamo a curare il raffreddore
Decenni di ricerca sono trascorsi invano. Per il raffreddore vale sempre il vecchio adagio: se non lo curi dura sette giorni, se lo curi dura una settimana. «Il virus è estremamente mutevole, molto più di quello dell’influenza. Un farmaco che lo contrasti attualmente è al di fuori della nostra portata», conferma Luca Pasina, responsabile dell’unità di Farmacoterapia e appropriatezza prescrittiva dell’Istituto farmacologico Mario Negri. Il problema però è che oggi siamo abituati a prendere medicine per tutto. Rassegnarci e aspettare che passi non fa più parte del nostro carattere. Pillole, spray e integratori per alleviare almeno i sintomi la fanno dunque da padrone in farmacia, sugli scaffali dei prodotti da banco, in questa stagione. E non è probabilmente un caso che il British Medical Journal ( Bmj) abbia scelto i primi freddi per passare in rassegna i rimedi contro i malanni autunnali e invernali: prodotti quasi sempre inutili, a volte dannosi.
L’elenco dei trattamenti – dai farmaci alle erbe – riguarda adulti e bambini. I primi vengono attanagliati da naso chiuso e starnuti 2- 4 volte all’anno, i secondi 6-8 volte. Ma è soprattutto ai piccoli (e ai loro genitori) che viene chiesta attenzione per quanto riguarda gli effetti collaterali. Decongestionanti e sciroppi per la tosse non sono adatti sotto ai 12 anni. Gli aerosol, per un raffreddore normale, non offrono sollievo e sottopongono le famiglie a inutili strepiti e battaglie. Nessun beneficio evidente arriva da unguenti da spalmare sul petto, rimedi naturali come l’echinacea, olio di eucalipto, probiotici, fino ad arrivare alla bava di lumaca. In tempi di medicina ultramoderna, raffreddore e tosse nei bambini si curano con lavaggi nasali e bevande calde addolcite con miele (sciroppo di mais sotto all’anno di età: il miele è a rischio botulino). Accompagnati – ma questi il Bmj non li cita da tante coccole, riposo, favole lette in braccio ai genitori e passeggiate (con sciarpa) se fuori c’è il sole.
Elena Chiappini, professoressa di Pediatria all’università di Firenze, in forza al reparto di Malattie infettive dell’ospedale pediatrico Meyer, conferma: «Il lavaggio nasale è l’unica operazione efficace nei bambini piccoli. Il pediatra di famiglia insegnerà ai genitori come farlo. Aiuta a mantenere aperte le vie aeree, permettendo ai neonati di fare le loro poppate respirando col naso. I decongestionanti per i bambini sono stati sconsigliati qualche anno fa dall’Agenzia italiana per il farmaco. Agiscono infatti restringendo i vasi sanguigni. Nella mucosa del naso, possono provocare irritazioni o sanguinamenti». Anche gli adulti dovrebbero limitare i decongestionanti (farmaci che riducono la sensazione di naso chiuso) a 3-7 giorni, scrive il Bmj. Il rischio altrimenti è che la rinite diventi cronica. «Questi farmaci – spiega Pasina – contengono sostanze simili alle anfetamine, come la pesudoefedrina o la fenilefrina. Provocano la costrizione dei vasi, riducendo la produzione di muco e la congestione nasale. Ma nei bambini possono causare aritmie, agitazione, insonnia e nervosismo. E l’uso prolungato può causare dipendenza, oltre che peggiorare la rinite».
La pazienza è la medicina giusta anche per la tosse semplice, non accompagnata da asma o altre infezioni batteriche. Si tratta di un sintomo che va rispettato, non represso, secondo Chiappini: «È un meccanismo per mantenere libere le vie aeree, che nei bambini hanno un calibro più piccolo. Sedare la tosse vuol dire compromettere questo sistema di difesa». Da Roma, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù ha pubblicato sul suo sito un vademecum sul disturbo, nel numero di ottobre di “A scuola di salute”. Con un colpo di tosse, si legge, si genera una forte pressione che espelle polveri, batteri e virus. I parenti si possono preoccupare, i bambini trascorrere notti insonni, i mal di gola succedersi l’uno all’altro (soprattutto se si va a scuola o all’asilo), “ma i genitori vanno tranquillizzati sulla benignità degli episodi” sottolinea l’ospedale. «In caso di dubbio – aggiunge Chiappini in Italia abbiamo la fortuna di avere la figura del pediatra di famiglia. Sarà lui a riconoscere i pazienti che hanno bisogno di antibiotici o altri tipi di farmaci». Nei neonati in particolare, fa presente l’ospedale romano, il riflesso della tosse “è quasi assente, non ancora ben maturato”. Se questo sintomo si presenta, dunque “è un segno da non sottovalutare”.
Sempre meno diffusa e sempre più regolamentata è una sostanza che in passato finiva nelle gole di molti bambini al primo colpo di tosse: la codeina. Gli Stati Uniti all’inizio dell’anno hanno vietato gli sciroppi che la contengono ai minorenni. Anche in Italia le indicazioni, negli ultimi anni, sono diventate assai restrittive. «La codeina – spiega Pasina – è una sostanza della famiglia degli oppioidi, una sorta di morfina molto debole. Serve a ridurre il dolore e a calmare la tosse agendo direttamente sul sistema nervoso centrale. Ma l’organismo la metabolizza in morfina. Gli effetti collaterali possono essere seri, arrivando alla depressione respiratoria». Un problema dei farmaci somministrati ai più piccoli – sottolinea il Bmj è proprio la mancanza di sperimentazioni e informazioni certe: i trial dei medicinali pediatrici sono limitati ai casi imprescindibili. E nel caso del raffreddore, prendere un farmaco di troppo può essere l’unico modo per non far durare la malattia una settimana. Bensì più a lungo.