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 2018  novembre 20 Martedì calendario

L’abbecedario dei bambini a scuola di jihad

B come Bomba. C come Carro armato. G come giubbotto da kamikaze. I come Isis. Che esiste, a differenza di Babbo Natale. L’italia ha rischiato di crescere in casa dieci piccoli jihadisti. Nel computer di un signore che a Foggia insegnava arabo ai bambini italiani la polizia ha trovato un documento assai particolare: l’abbecedario dell’Isis. Un paio di pagine studiate appositamente per i più piccoli dove per insegnare la lingua erano state scelte le parole della jihad. A custodire quelle pagine — in cartelle dove c’erano anche centinaia di vide dell’Isis — era Mohy Abdel Rahman, 60 anni, passaporto italiano e origini egiziane. “Il cattivo maestro”, che a Foggia per anni è stato il cuore di un centro culturale nel centro della città, Al Dawa. Arrestato nel marzo scorso, le indagini si sono chiuse nelle scorse settimane.
Secondo quanto accertato dalla Dda di Bari una decina di bambini hanno per mesi frequentato una scuola di Jihad. Con un signore che raccontava loro che Babbo Natale «non esiste», che «i musulmani in guerra valgono tre» e dunque, non temono nessuno. E che, comunque, «chi muore per Allah va sempre in paradiso».


Il giuramento di fedeltà
È il 3 febbraio del 2018 e dieci bambini sono attorno ad Abdel Rahman. Sono tutti nati in Italia. Non conoscono l’arabo. Frequentano le scuole a Foggia. Il più piccolo ha quattro anni, la più grande 12. Parla il maestro.
Abdel: «Giurare fedeltà al Profeta oggi, significa che voi dovete difenderlo come difendete le vostre donne e i vostri bambini. Significa che voi dovete dare a lui ciò di cui lui ha bisogno, significa che voi dovete essere contro gli arabi e gli stranieri». Che la violenza fosse l’unico strumento per essere «contro gli stranieri» era chiaro ai bambini. Diceva il maestro: «Il Profeta ha ordinato che bisognava lasciare tutto e andare via senza niente. Se acchiappavano qualcuno musulmano che sta facendo migrazione lo prendevano e lo torturavano». Un bambino di sei anni interviene. «E non facevano karate?».
A.: «No, perché i miscredenti erano di più».
B.: «E va beh, se io mi metto con le armi hai voglia…».
A.: «Sì, ma se sono dieci miscredenti e tu solo ti prendono».
B.: «Sono forte».


B come bombe a mano
D’altronde che il vocabolario usato da Abdel Rahman (che ha sempre sostenuto che le sue dichiarazioni fossero state male interpretate ed è in carcere a Rossano Calabro in attesa del processo) fosse quello della violenza si deduce da un documento che la polizia ha trovato nel suo computer. Dove — tra video prodotti dall’Isis come "Mio padre mi ha raccontato", dove bambini jihadisti esaltavano i loro padri morti in battaglia — l’italo-egiziano conservava la "Biblioteca dell’aspirazione". Una sorta di abbecedario dell’Isis per insegnare ai bambini l’arabo. Che studiavano parole come giubbotti da kamikaze, kalashnikov, carrarmati, bombe a mano, missili e giubbotti antiproiettile.


Babbo Natale non esiste
L’obiettivo di Abdel Rahman era tenere il più lontano possibile quei bambini, italiani a tutti gli effetti, che tifano per la Juve o per il Foggia, il più lontano possibile dall’Occidente. Emblematico è un discorso fatto ai loro genitori, poco prima di Natale.
«Fratelli — diceva — dobbiamo essere lontani da loro quando loro festeggiano le loro feste… non dobbiamo partecipare. Non dobbiamo sentire la poesia che i nostri figli imparano a scuola, né far vedere in televisione le pubblicità di Babbo Natale. Perché se lasci la porta aperta i bambini alla fine pensano che Babbo Natale fa parte dell’Islam. Pensano che Babbo Natale esiste».