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 2018  novembre 19 Lunedì calendario

Quanto valgono gli All Blacks

Gli All Blacks sono la squadra di rugby più forte del mondo, ma anche un gioco di prestigio che riesce alla perfezione anno dopo anno. Perché essere i migliori, i più famosi, i più amati rappresentando un Paese lontano da tutto, con appena 4,8 milioni di abitanti e un’economia che secondo il Fondo monetario internazionale sta al 51° posto, tra Venezuela e Grecia, non è semplice. Avere ricavi per 150,7 milioni di euro (nel 2017) e vedersela, vincere ed essere molto più conosciuti, per esempio, dell’Inghilterra, che in due anni (2016 e 2017) ha incassato solo grazie ai biglietti, ai bar, ai posteggi di Twickenham 413,8 milioni, sembra la classica missione impossibile. 
Insomma, secondo molti i fatturati sono tutto, anche nello sport. Ma poi incontri gli All Blacks e la convinzione vacilla perché la squadra in maglia nera ha un brand (la felce d’argento) che tutti riconoscono, dall’Uzbekistan alle Comore, fa l’esaurito ovunque vada a giocare (sabato prossimo a Roma) e nella classifica dei marchi sportivi più noti sta appena sotto Manchester United, Real Madrid, Ferrari e pochissimi altri. 
La forza dell’HakaI suoi ricavi, poi, per quanto bassi in valore assoluto (150,7 milioni, per capirci, li porta a casa il Bournemouth, squadra della parte bassa della Premier League), sono miracolosi. Se parliamo di squadre nazionali, infatti, solo il Brasile del pallone vanta cifre paragonabili a quelle degli All Blacks. 
Volendo trovare un inizio della «costruzione» del mito e del conseguente brand, potremmo partire dalla metà degli anni Ottanta, quando il capitano Wayne Shelford, un maori, riscrisse la legge della Haka, la danza di guerra che i tuttineri eseguono prima di ogni match. «O la facciamo bene – all’epoca accadeva di rado – o evitiamo di farla» disse Shelford e da allora la Haka (ne esistono due versioni, la Ka Mate e la Kapa o Pango, più recente e più truculenta) diventò una cosa molto seria, per eseguire la quale i giocatori si sottopongono a veri allenamenti. Alla maglia nera con la felce, alla Haka con la mistica maori bisogna poi aggiungere le regole severissime che i giocatori devono rispettare. Chi si comporta male sta a casa anche se è il più forte di tutti perché, in fondo, gli All Blacks più che una squadra sono un ordine monastico.
Il regista, l’uomo che sta dietro al successo imprenditoriale dei neozelandesi, è Steve Tew, l’amministratore delegato della Federazione. La sua strategia è semplice: «Dobbiamo avere relazioni commerciali con aziende internazionali per essere presenti sui grandi mercati. Solo così possiamo reggere contro avversari molto più ricchi e forti di noi». E, soprattutto, per garantire buoni stipendi ai giocatori ed evitare che fuggano in Inghilterra e in Francia, gli unici paesi dove un rugbista può guadagnare più di un milione l’anno.
La faccenda dell’ordine monastico non va in ogni caso presa come una battuta. In un mondo che si innamora della superstar (avete presente Cristiano Ronaldo?), gli All Blacks hanno infatti puntato tutto sul gruppo, sulla squadra. Per questo non vengono tollerate mancanze. All’ultima Coppa del Mondo, nel 2015, ovviamente vinta, gli All Blacks si presentarono con due soli colori: il nero e il bianco dei cerotti e delle bende. Vietate scarpe variopinte, cuffie a fiori e altri «segni distintivi» solitamente ben pagati da sponsor minori. Un ritorno agli anni 90 che, sicuramente, qualche giocatore avrà fatto fatica a digerire. Sotto la guida di Tew, la federazione ha chiuso (o rinnovato) contratti con Adidas (che non può però mettere sulla maglia le sue celebri tre striscie), Vodafone, Aig, società di assicurazioni, Tudor, orologi svizzeri di lusso. In due anni ha aumentato il fatturato del 50 per cento e ha già iniziato una nuova fase. 
Costretti a vincerePer continuare a essere competitivi, gli All Blacks dovranno «andare all’attacco di nuovi mercati, la Cina, gli Emirati Arabi… Insomma – spiega Tew —, dobbiamo vendere il nostro marchio fuori dalla Nuova Zelanda. I non neozelandesi non ci ameranno mai come i neozelandesi? Vero, diciamo che vogliamo diventare la seconda squadra di tutti i tifosi del mondo».
Ma, in fondo, se gli All Blacks sono quello che sono, hanno il rispetto di chiunque (durante la loro ultima tournée negli States gli allenatori sono stati invitati a raccontare la loro filosofia di lavoro ai Marines), c’è un altro motivo, il più importante: non perdono praticamente mai. Negli ultimi sette anni hanno vinto il 90 per cento delle partite giocate e questo è il loro vero segreto. Senza le vittorie, lo spettacolo della Haka, la maglia nera, la mistica maori e i valori del gruppo diventerebbero inutili. Un’«impresa» sportiva che non vince è infatti destinata a fallire. Ma, per il momento, gli All Blacks non sembrano correre alcun pericolo.