L’Economia, 19 novembre 2018
Prima lo stato azionista, ora il governo regista
Il ministro dello Sviluppo economico ha dichiarato che il governo «ha l’obiettivo di creare un player nazionale della connettività. Questo è quanto stiamo cercando di ispirare e di stimolare» ( Corriere della Sera , 15 novembre 2018). Abbiamo sperimentato per anni lo Stato azionista. Ora abbiamo il governo regista, che «ispira» e «stimola» la formazione di gruppi industriali, in particolare lo scorporo della rete di Tim e la sua fusione in Open Fiber.
Per valutare il disegno del governo, bisogna rispondere a tre domande: a chi giova? Come si può realizzare? Quanto è coerente con gli indirizzi generali dell’esecutivo?
Domande scomode Gli utenti hanno interesse a poter disporre al più presto di una rete nazionale in fibra, piuttosto che in rame. Ma la costituzione di una «joint venture» servirebbe ad accelerare i lavori? A favorire investimenti non servivano i cospicui fondi messi disposizione dal precedente governo, per cui furono fatti i bandi? Non doveva servire a questo Open Fiber, ben prima che vi sorgessero ambizioni monopolistiche? Se si costruisce un monopolio, a cui i gestori dei servizi debbono necessariamente appoggiarsi, non si corre il rischio che a pagarne le spese siano, come sempre, gli utenti? Se fosse vero che solo con l’intervento pubblico si può garantire la copertura di tutto il Paese con la fibra, vorrebbe dire che il governo Renzi ha preso un grosso abbaglio e ha buttato i soldi dalla finestra, perché scelse un’altra strada, quella dei finanziamenti pubblici (ai quali comunque non pare che la nuova società intenda rinunciare).
Tim, a sua volta, da una parte si vedrebbe privata di un asset importante nella valutazione del suo patrimonio, dall’altra sa che quel cespite è obsoleto e che potrebbe contare sull’accollo alla nuova società, monopolista della rete, di una parte del suo debito e del suo personale in esubero. Per Tim, insomma, il disegno del governo è un esproprio o un regalo. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha dichiarato che il governo non intende fare espropri.
La nuova società per la gestione della rete, a sua volta, si troverebbe nella posizione di Terna, supporto necessario dei gestori dei servizi. Ma questo alla condizione di avere il monopolio della rete, perché altrimenti niente impedirebbe ai gestori di costruire proprie reti. Se ha il monopolio, avrà interesse a meccanismi tariffari favorevoli e verrebbe a godere di due vantaggi. Continuare a usufruire dei fondi per i quali ha vinto le gare (per le aree dette a fallimento di mercato o bianche) e poter godere della posizione tipica del monopolista nel fissare le tariffe. Insomma, pochi rischi e alti rendimenti.
I gestori dei servizi avrebbero un vantaggio se dalla società monopolista derivasse direttamente la creazione di una rete in fibra, estesa a tutto il Paese. Ma questo è il frutto di capacità tecniche e realizzative, non di alchimie societarie. Per cui dal nuovo monopolista possono avere solo lo svantaggio di dover accettare i costi, che trasferirebbero sugli utenti, con diminuzione dell’attrattività del servizio.
E le Authority?Il governo, infine, dall’operazione avrebbe il consueto vantaggio. Avendo le mani in pasta, avrà la possibilità di nominare amministratori e di godere di posti di sottogoverno per propri clienti.
Grande assente l’autorità indipendente di regolazione delle comunicazioni. Come sempre, quando la politica si impossessa delle funzioni affidate ai regolatori indipendenti, questi escono di scena o vengono zittiti.
Più rapida la risposta alle altre due domande. Come si può realizzare il disegno del governo? Occorrerà una legge. Senza di essa non è possibile sottrarre a Tim la rete di cui dispone, e neppure sottrarre ad altri operatori le reti parziali di cui si sono dotati. E senza di essa non si può impedire che i gestori dei servizi, domani, se riscontrano che le tariffe imposte dalla nuova società sono troppo alte, riprendano a dotarsi di nuove reti. Insomma, per l’espropriazione e per la riserva originaria c’è bisogno di una legge, come prescrive l’articolo 43 della Costituzione.
Quanto alla coerenza con l’azione di governo, è evidente che l’allargamento della mano pubblica (la nuova società sarebbe sotto il controllo di Cassa depositi e prestiti e di Enel, comunque in controllo pubblico) costituisce una mossa in controtendenza rispetto agli intenti di privatizzazione appena espressi dal governo per far soldi e cercare di convincere la Commissione europea sul bilancio dello Stato 2019.
In conclusione, il governo, invece di cercare di combinare matrimoni, con il pericolo di rimanere invischiato nelle lotte di mercato per il controllo di Tim, farebbe bene a dettare poche regole e ad astenersi dall’intervenire, facendo rispettare i tempi di costruzione della rete agli affidatari, che hanno ottenuto i finanziamenti pubblici, secondo le direttive dell’Unione europea.