La Stampa, 19 novembre 2018
Galeazzo il gallo e Edda la cavallina matta
Quando Walter Schellenberg, vicecomandante della Gestapo, ascoltò la registrazione di una voce a lui ben nota, rimase di sasso. Era del ministro degli Esteri italiano, il conte Galeazzo Ciano, marito di Edda, figlia di Benito Mussolini. In missione a Berlino, il bel Galeazzo non perdeva mai l’occasione di fare più di una visita al Salone Kitty, casa di tolleranza di gran lusso (a cui Tinto Brass dedicò il film omonimo). Ed era caduto nella trappola organizzata dai nazisti che, con microfoni nascosti, ascoltavano le confidenze dei più illustri frequentatori del postribolo.
Le visite di Ciano furono riferite a Hitler e al Duce, che andò su tutte le furie per la faciloneria del conte di Cortellazzo. Il gerarca era famoso per la sua passione per le prostitute e a Roma era stato soprannominato Gallo: nel salotto di Isabella Colonna, a due passi da piazza Venezia, incontrava nobildonne e fanciulle di rango meno elevato. Sua moglie Edda lo ripagava di eguale moneta: se lui corteggiava una signora, lei ne concupiva il marito ingaggiando «una partita a quattro», come Claretta Petacci scrisse al suo «Ben» informandolo malignamente delle imprese della disinibita prole.
Adesso a ripercorrere l’avventura politica ed esistenziale del genero del Duce, e anche del suo ménage con Edda, è Eugenio Di Rienzo nella monumentale biografia di circa settecento pagine Ciano (a giorni in uscita da Salerno editrice). Lo studioso racconta la vita del gerarca a partire dal controverso Diario di Ciano redatto dal 9 giugno 1936 al 6 febbraio 1943 e definito dallo storico il suo «unico capolavoro politico». Secondo Di Rienzo eventi cruciali del fascismo e della guerra e anche l’operato dello stesso diarista vanno riletti proprio prendendo le distanze da quelle pagine scritte a scopo apologetico e «deliberatamente vergate al solo fine di separare le responsabilità del suo autore da quelle del Duce». Del grande inganno tessuto da Ciano sono rimaste vittime, secondo il saggista, grandi storici come Renzo De Felice e Lucien Febvre.
La «leggenda nera»...
Come mai il Diario che, nonostante la sua autenticità è un grande falso e ci restituisce un’immagine artefatta dello stesso Ciano, è stato considerato un documento «genuino e addirittura inoppugnabile», una fonte assolutamente attendibile per la storia del fascismo? Osserva lo studioso che nel dopoguerra alla «leggenda nera» (coltivata dal neofascismo) di Ciano, visto come il Giuda di Mussolini e della sua famiglia, si voleva opporre un’altra «leggenda aurea», più gradita all’opinione moderata, in cui si favoleggiava di un presunto dissidio tra suocero e genero. Per cui un fascismo senza Mussolini, come lo avrebbe voluto Ciano, si sarebbe potuto trasformare in una «dittatura morbida», foriera di tanti aspetti positivi - ordine sociale, disciplina civile - di cui si avvertiva la mancanza nell’Italia repubblicana. In questo conflitto d’interpretazioni vennero però singolarmente messe da parte le peripezie della vita privata e il rapporto con Edda. Ma proprio intrighi e tradimenti sono oggi considerati da Di Rienzo fondamentali per ridisegnare la complessità e la peculiarità del personaggio anche dal punto di vista politico.
I Ciano, il papà Costanzo e il figlio, attraverso favoritismi, concessioni illecite e ricatti, furono gli egregi artefici di una gigantesca tangentopoli nera. In seguito alla quale accumularono una cifra immensa per quei tempi, quasi un miliardo di lire: Edda detta la Deda o «la cavallina matta», grande bevitrice e giocatrice al tavolo verde, fu attratta dallo scavezzacollo cinico e snob che apparteneva a una delle famiglie più ricche d’Italia.
... e la «leggenda aurea»
La Deda era nota per la sua libertà e per le sue intemperanze. Aveva una passione per la provocazione: al mare indossava il «due pezzi» al posto del castigato costume intero, guidava spericolatamente auto sportive, fumava e non conosceva la parola fedeltà.
I mattinali delle questure relazionavano sulla sua frequentazione di «soggetti di pessima condotta, cacciatori di dote, dissipatori di patrimoni, cocainomani sospetti di esser stati affetti da malattie sessuali, persino giovani ebrei».
Veniva definita «ninfomane» e si sussurrava di orge e di amori a pagamento con giovani gigolò. Tra i suoi partner vi furono un capostazione, un maestro di sci, una guida alpina, Emilio Pucci, nel dopoguerra stilista di grande successo, e Leonida Bongiorno, partigiano e convinto antifascista incontrato alla fine del conflitto quando Edda era al confino a Lipari.
Il legame tra la figlia di Mussolini e Ciano fu dunque una specie di patto col diavolo fondato sui segreti e le bugie che li legavano sul piano sessuale, in politica e negli affari. Edda, però, con grande coraggio e determinazione, cercò fino all’ultimo, di salvarlo dopo il voto di sfiducia di Galeazzo contro il Duce nella notte tra il 24 e il 25 luglio. Ma senza successo: Ciano venne fucilato al poligono di tiro di Verona l’11 gennaio 1944. Della loro vita fondata sulla complicità, ricca di vizi privati e scarsa di pubbliche virtù, si parlò assai poco dopo la scomparsa di Galeazzo. E questa dimenticanza servì a incrementare proprio quella «leggenda aurea» nostalgica del fascismo morigerato che riproponeva Ciano come l’icona di un regime dittatoriale benevolo, positivo e per di più, guarda caso, nient’affatto corrotto.