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 2018  novembre 19 Lunedì calendario

Bob Dylan senza filtri

Quando Jerry Schatzberg incontrò Bob Dylan, era un affermato fotografo di moda, aveva 38 anni e lavorava per Vogue, Esquire, McCalls. Bob Dylan aveva 24 anni, era già Bob Dylan e stava per diventare qualcosa di più. Stava per reinventare la musica rock, farla diventare adulta, si stava guadagnando il Nobel che sarebbe arrivato cinquant’anni dopo. «Dylan - ci racconta Schatzberg, ora 91enne - l’ho scoperto un po’ tardi, ma quando finalmente ci sono arrivato mi ha travolto. Volevo fotografarlo, chiesi una raccomandazione al giornalista Al Aronowitz. Il giorno dopo mi chiamò Sara Lownds, una modella con cui avevo avuto una relazione, che mi disse di essere la compagna di Dylan (pochi mesi dopo sarebbe diventata la moglie) e mi invitò in studio, dove lui stava registrando l’album Highway 61 Revisited. Il fatto di essere stato presentato da due persone di cui si fidava gli fece abbandonare le abituali cautele. O forse così avviene sempre quando due persone scoprono di avere qualcosa in comune. È istinto. Con lui non mi sono mai sentito sotto pressione».
I ritratti tra il 1965 e il ’66
Schatzberg ha fotografato Dylan tra il ’65 e il ’66, gli anni più importanti nella storia del più importante autore di canzoni della seconda metà del XX secolo. Tra Highway 61 Revisited, l’album in cui si trova la canzone Like a Rolling Stone, e l’incidente motociclistico del ‘66, passando per i concerti in cui la «svolta elettrica» veniva contestata dai nostalgici del folk e l’album Blonde on Blonde, per cui Schatzberg scattò la celebre foto di copertina. Ora tutto questo lavoro è raccolto in un libro, uscito da qualche giorno in Italia e in Francia - Dylan/Schatzberg, Skira Editore, pagine 262, euro 55 -, cronaca per immagini della costruzione di un’icona. 
Progettata da Dylan, fotografata da Schatzberg. «Quando scattammo quelle foto - racconta lui - era già evidente che tanti volevano vestirsi come lui, muoversi come si muoveva lui. Non so che cosa avesse davvero in mente, nessuno lo sa, credo che lui stesso avesse modelli di riferimento, persone che ammirava da ragazzo e che ora imitava, nell’abbigliamento e nell’atteggiamento. Comunque io non gli ho mai chiesto di indossare o fare qualcosa, non ci ho mai neppure provato. Era Bob Dylan!».
Al centro del loro rapporto, la famosa copertina di Blonde on Blonde, l’album doppio che con Pet Sounds dei Beach Boys, uscito lo stesso giorno, il 16 maggio 1966, e Freak Out! di Frank Zappa, pubblicato a giugno, inventò il concetto di album rock. «Avevo iniziato a scattare in studio - racconta Schatzberg - ma non ero contento. Ho pensato che avrei dovuto aggiungere un po’ di città, mi è venuta in mente quella zona di New York, il Meatpacking District, con quei ristoranti meravigliosi in cui andavo con i miei genitori a mangiare la domenica. Era l’inizio di febbraio, non eravamo abbastanza vestiti, avevamo freddo e tremavamo un po’. Feci del mio meglio per controllare la macchina fotografica e i movimenti, ma alcuni scatti vennero un po’ mossi. Dylan e io eravamo convinti che fossero perfettamente normali: eravamo fuori al freddo, stavamo tremando, avevamo ottenuto queste immagini. Ci piacevano, le abbiamo scelte e nessuno ha osato contraddire Bob». 
La fine del sodalizio
Il misterioso incidente in moto che coinvolse Dylan nel 1966 dalle parti di Woodstock mise fine al sodalizio tra i due. Bob cominciò allora a percorrere la sua strada solitaria fatta di svolte e ritorni, Schatzberg divenne regista, fece almeno due film da ricordare: Panico a Needle Park con Al Pacino (1971) e Lo spaventapasseri con Pacino e Gene Hackman che vinse la Palma d’oro a Cannes nel ’73. 
«Sì, lui ebbe il famoso incidente e una lunga convalescenza, scomparve a tutti, non solo al pubblico. In quello stesso periodo, cominciai a lavorare al primo film (Mannequin - Frammenti di una donna, con Faye Dunaway, ndr), che mi prese molto tempo e mi allontanò dalla fotografia. Ci rivedemmo nel 1973, al matrimonio di un comune amico. Eravamo curiosi di sapere uno dell’altro, abbiamo parlato a lungo. Era molto interessato a capire come era stato per me il passaggio dalla fotografia al cinema. Aveva una gran voglia di fare del cinema, allora».