La Stampa, 19 novembre 2018
Fra i nostalgici sulla tomba di Franco
La piccola Irene ha solo due mesi, «ma è già una vera spagnola». La neonata ora dorme placida in braccio alla mamma, è stata appena battezzata nella Valle de los Caídos, l’enorme mausoleo fatto costruire da Franco per celebrare la sua vittoria nella guerra civile. E dove lo stesso dittatore, almeno per ora, è sepolto. Proprio il timore che il «governo dei senza dio» rimuova le spoglie del Generalissimo spinge migliaia di spagnoli ogni fine settimana ad avventurarsi tra questi monti, per rendere omaggio, con fiori o soltanto con una foto ricordo.
Il nuovo turismo
«Per vedere Franco devo girare qui?». La Seat Ibiza è l’ultima a salire, si è quasi persa tra i tornanti del bosco nella serra di Guadarrama, a un’ora scarsa da Madrid. Basta svoltare l’ultima curva ed ecco che compare la massa: pullman, auto private, moto, persino ciclisti. Ovunque bandiere spagnole. Tutti con un solo obiettivo: andare a vedere la tomba del dittatore. Il Caudillo è sotterrato qui da 43 anni con tutti gli onori, un’anomalia spagnola, che il governo di Pedro Sánchez vuole cancellare. A pochi metri di distanza dal dittatore sono sotterrate migliaia di combattenti della guerra civile, compresi quelli morti per mano delle truppe di Franco. Il carnefice, insomma, riposa accanto alle vittime, per di più in un complesso eretto anche con il lavoro forzato dei prigionieri politici. «Fino a giugno non veniva nessuno» racconta Begoña, suora laica di ritorno da una seduta di esercizi spirituali. Invece oggi, come ogni weekend, da quando si è insediato al governo il partito socialista, c’è la coda. «È una forma di resistenza alla prepotenza dei socialisti, in questo modo vogliamo impedire che si realizzino i loro disegni», conclude la signora.
La foresteria
C’è chi va oltre l’omaggio e, come la famiglia della piccola Irene, celebra i sacramenti sull’altare che ospita la tomba: matrimoni, almeno una decina l’anno, e battesimi. La cerimonia della bimba, officiata da un benedettino, si è svolta in una cappella del monastero all’ombra della mastodontica croce, 150 metri su un picco. «Costa molto meno rispetto alla basilica», confessa il custode, ma al ricevimento i tovaglioli portano il logo dell’abbazia con l’aquila franchista, «come Cristo comanda», scherza lo zio della battezzata. Chi vuole festeggiare qui ha a disposizione gli spazi della foresteria: «Organizziamo riunioni di lavoro, eventi aziendali, compleanni - dicono alla porta -. Per chi celebra il matrimonio, e vuole fermarsi c’è anche una stanza per la prima notte degli sposi». La Foresteria della Santa Croce ha posto per 220 persone, comprese due junior suite e otto sale di riunioni. Prezzi modici, (circa 50 euro) e vista, un po’ lugubre, assicurata.
Le masse che si inerpicano su questi monti, non lontano dall’Escorial di Filippo II, hanno paura di non trovare più il Caudillo, il parlamento spagnolo, infatti, ha approvato due mesi fa la legge che ordina la rimozione dei resti del dittatore da questo sacrario per spostarli in luogo da destinarsi. Le difficoltà del governo nel «desentierro» sono tante, prima con i monaci benedettini che custodiscono la basilica, poi con la famiglia Franco che fa ostruzionismo, persino con il Vaticano si registrano freddezze. L’ìmpasse del governo è vistosa, anche perché gli eredi Franco sono pronti a trasferire l’avo in una cappella dell’Almudena, la cattedrale di Madrid. Per i socialisti sarebbe un boomerang impossibile da sopportare.
Lotteria e previsioni
«Fammi la foto prima che gli hijos de p... tolgano la tomba», intima il signor Antonio al bambino che lo accompagna, «e perché la tolgono?», «perché sono anticristiani, per questo ti dico che devi andare a messa. Per non diventare così». Sullo spiazzo della basilica che domina la valle c’è José Carlos che vende biglietti della lotteria di Natale (oltre a qualche cimelio di nascosto) e fa previsioni: «Non lo tireranno fuori di qui, siamo in un luogo sacro. Il Vaticano non tradirà». Nella basilica scavata dentro la roccia, ci sono i corpi, spesso senza nome, di 33.782 vittime della guerra civile sia repubblicani che «nazionali». Ma, a dimostrazione che questo non è un luogo di memoria, praticamente nessuna lapide ricorda questi caduti, molti dei quali, 12.000 circa, anonimi.
All’ingresso della chiesa, superato il metal detector («gli anarchici possono colpire»), un cartello recita «vietato fare foto e video». Non fosse chiaro, una signora lo ricorda anche a voce, ma fatti pochi metri, la regola non la osserva più nessuno. In fondo all’altare, c’è la tomba del Generalissimo e quella di José Antonio Primo de Rivera, fondatore della Falange ucciso durante il conflitto. Per José Antonio (sulla lapide è chiamato semplicemente così) c’è un solo mazzo di gerani, mentre su quella di Franco i fiori sono tanti e freschi e tutti con il giallo e rosso della bandiera nazionale. Ci si accalca per una foto, famiglie, coppie di fidanzati, gruppi di amici, di tutte le età e provenienze. Molta commozione e qualche frivolezza: «Metti subito su Instagram».