Corriere della Sera, 19 novembre 2018
Come risolvere il problema della prescrizione
Il Presidente del Tribunale di Bologna (ma non è il solo) ha emesso nel 2015 un decreto che nella sostanza dice: «Quando il processo si incardina, se un reato si prescrive fra un anno e mezzo, fissate la prima udienza a due anni, perché tanto il processo non si riuscirà a fare». Dai dati del ministero della Giustizia la durata media dei processi penali è di circa due anni per il primo grado, dove sono pendenti 1,2 milioni di processi; tre anni per l’appello (pendenti 270.000), otto mesi in Cassazione (pendenti 24.262). Ogni anno si prescrivono circa 130.000 processi.
Giustizia è fatta con lo stop al primo grado?Affinché giustizia sia fatta per tutti il ministro della Giustizia ha proposto di fermare il tempo al primo grado di giudizio. In questo modo gli avvocati non avranno più interesse a cercare di salvare il loro cliente esasperando gli aspetti formali della procedura che allungano i tempi. Si va dalla convocazione di decine di testimoni quando ne basterebbero meno, alle eccezioni di nullità. La più frequente: quando un imputato ha due difensori, e la notifica arriva in ritardo ad uno dei due, chiedere il rinvio.
La fine di questi «abusi del diritto» sarà sufficiente a celebrare quei 130.000 processi in tempi ragionevoli? No, al contrario i tempi si allungheranno, poiché il condannato ha sempre interesse a ricorrere in appello per sperare in una assoluzione, una riduzione di pena, o eventuali modifiche di legge. I magistrati invece, non più sotto pressione, potrebbero prenderla con comodo.
Come sveltire la macchina giudiziariaMolti avvocati e magistrati sembrano essere d’accordo sul fatto che la eccessiva durata dei processi dipenda dal loro numero, e per ridurli bisognerebbe modificare alcune regole processuali. Oggi per i reati per i quali di fatto non si va in carcere (dall’abuso edilizio alla recidiva per guida senza patente, dall’omissione di soccorso all’oltraggio) si fanno tre gradi di giudizio. La proposta sarebbe quella di mettere filtri severi per evitare l’appello. Oggi nei processi in cui i giudici sono tre, se uno dei giudici va in pensione, viene trasferito o va in maternità, bisogna ricominciare daccapo. Prevedere che le prove già assunte siano utilizzabili, e che sia il giudice a decidere se rifare solo quelle per cui è effettivamente necessario.
Molti processi ricominciano daccapo perché in Cassazione si decide che era competente Roma invece di Milano (o viceversa). Prevedere che queste questioni vengano decise prima del processo. Non andare in Cassazione per tutto: oggi è possibile ricorrere anche dopo aver patteggiato. Il patteggiamento invece, che il processo lo evita, andrebbe incentivato, allargando i margini. Gli errori di notifica pesano sui tempi: basterebbe inviarle soltanto al difensore nominato. Monitorare il rendimento dei magistrati: negli uffici tutti sanno chi si tira il collo e chi lavora poco.
Nessuna riforma ha un costo zeroInfine: la macchina è ingolfata sia per carenza dei Gip, che del personale di cancelleria, su cui gravano mille adempimenti. Dalla pianta organica mancano 9.000 amministrativi. In conclusione fermarsi solo al blocco sine die, danneggia tutti: le vittime, gli innocenti, le parti civili che attendono una sentenza che liquidi loro il danno. E pure il condannato: se l’obbiettivo di una pena è la riabilitazione, che senso ha se arriva quindici anni dopo aver commesso il fatto?