Corriere della Sera, 19 novembre 2018
Le sanzioni all’Iran mandano in crisi il re dei tè indiani
’onda lunga delle sanzioni imposte da Trump a Teheran si sta facendo sentire fino in Assam e nelle coltivazioni del suo pregiatissimo tè. La decisione della Casa Bianca di uscire dall’accordo sul nucleare iraniano sta avendo ripercussioni – per i più inaspettate – in questa regione nord orientale dell’India, dove sono coltivate le foglie che danno vita a una miscela dal gusto deciso e corposo, tra le più costose del Subcontinente. Almeno fino a pochi mesi fa.
Perché da quando è stata ventilata la minaccia di nuove ritorsioni Usa verso il Paese dei mullah, produzione e prezzi di questo tè hanno iniziato a precipitare, registrando un’inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni: se dal 2010 le esportazioni di tè verso l’Iran erano raddoppiate (a circa 31 milioni di chili nel 2017), nel 2018 fino a settembre(quindi prima dell’entrata in vigore delle sanzioni) sono scese del 13 per cento, e i prezzi sono calati del 10 per cento (a circa 3,5 dollari al chilo). Strano effetto della globalizzazione: Teheran è il maggiore acquirente di tè indiano – proprio l’anno scorso ha superato la Russia come prima destinazione delle esportazioni di New Delhi in termini di valore (100 milioni di dollari di tè sfuso), mentre Mosca resta prima in termini di quantità di merci esportate; la miscela di Assam, tra l’altro, è la qualità preferita dagli iraniani —. E benché le sanzioni Usa non riguardino alimenti e beni agricoli, e benché all’India (come all’Italia) gli Usa abbiano concesso una deroga di alcuni mesi anche per le transazioni in dollari con l’Iran, gli esportatori indiani stanno cercando di evitare di usare biglietti verdi con Teheran ma anche di allacciare rapporti potenzialmente rischiosi con le banche iraniane prese di mira dagli Usa. «Se questo business si ferma sarà un disastro per noi» è l’allarme lanciato Vivek Goenka, presidente di Warren Tea e della Indian Tea Association dalle colonne del Financial Times. La caduta dei prezzi legata alle sanzioni ha già iniziato a mettere sotto stress la sua azienda. «Non so cosa succederà» ha detto preoccupato.
Come altri imprenditori di tè in India – il secondo Paese produttore al mondo, con il 31% della produzione globale – sta ora scervellandosi per trovare un modo per continuare a vendere le proprie foglie e miscele all’Iran. In passato, Iran e India, avevano risposto alle sanzioni americane evitando scambi in dollari e usando altre monete, anche la rupia, un sistema che gli esportatori di tè sperano venga ristabilito.
Nel frattempo però alcuni di loro in preda alla paura hanno ridotto il business. Alcune aziende hanno addirittura deciso di iniziare a piantare tè più economici, destinati al consumo locale, visto che il Subcontinente è con la Cina il maggiore consumatore di tè al mondo. Altre vorrebbero tentare di investire su altri mercati, altrove. Per non rinunciare a questa eredità della storia coloniale: l’industria indiana del tè vanta infatti poco più di un secolo e mezzo di vita. Troppo breve per farla terminare qui.