Corriere della Sera, 19 novembre 2018
I microsatelliti di mr Tesla
Auto elettriche senza pilota, i veicoli pallottola di Hyperloop, le reti sotterranee progettate dalla Boring Company, batterie di nuova generazione, navi spaziali di SpaceX e i piani per la conquista di Marte non bastano ad Elon Musk: poco notato fra tante altre missioni affascinanti, nei giorni scorsi è arrivato il semaforo verde dalle autorità federali americane allo Starlink Program, un’altra rivoluzione che porterà il sigillo di Iron Man.
Il geniale imprenditore sudafricano trapiantato in California che ha ispirato il regista di quella serie cinematografica, ha ottenuto dalla Fcc, l’authority Usa per le comunicazioni, l’autorizzazione a mettere in orbita entro pochi anni 7.518 satelliti coi quali creare una fitta rete che fornirà servizi a banda larga affidabili anche alle aree più remote del mondo.
Oggi intorno alla Terra orbitano poco meno di duemila satelliti attivi: con la nuova iniziativa, quindi, Musk potrebbe diventare anche il dominatore dell’etere. Otto mesi fa la sua SpaceX era stata già autorizzata a lanciare nei prossimi anni 4.425 satelliti per comunicazioni che useranno orbite alte, oltre i mille chilometri dal nostro pianeta.
La nuova rete appena approvata dalla Federal Communications Commission sarà invece composta prevalentemente da microsatelliti di nuova generazione, alcuni lunghi appena 10 centimetri e pesanti 3 libbre (meno di un chilo e mezzo) che, volando su orbite molto più basse e collegati tra loro, consentiranno di coprire in modo capillare ogni angolo del Pianeta, senza più limiti legati alle condizioni meteorologiche. Le reti attuali, gestite da società come HughesNet o la canadese Telesat, lasciano molte aree scoperte e può bastare una nevicata per far saltare le comunicazioni.
Appena colpito dalla sanzione di un ente federale, la Sec, per aver turbato la Borsa con le sue illazioni su un possibile ritiro di Tesla dal listino, Musk ottiene, dunque, la fiducia di un’altra authority, la Fcc: entra, così, in un mercato competitivo e già affollato (c’è anche il miliardario britannico della Virgin, Richard Branson, con OneWeb). Musk è convinto che la spunterà e che riuscirà a trasformare questo business, per lui tutt’altro che affascinante, nella principale fonte di finanziamento delle missioni che intende lanciare verso la Luna e Marte.
Secondo piani ufficiosi, mai confermati dall’azienda, SpaceX, certa di poter offrire un servizio efficiente e a costi molto competitivi anche nelle grandi aree urbane, punterebbe a raggiungere entro il 2025 un fatturato da canoni di connessione a banda larga di 30 miliardi di dollari: un giro d’affari sei volte superiore a quello, assai più celebrato, dei suoi lanci di missili e delle navi spaziali Dragon che dal prossimo anno dovrebbero volare con astronauti a bordo, restituendo agli Usa il «traghetto» spaziale verso la stazione internazionale perso nel 2011 con l’ultimo volo degli shuttle della Nasa. Come sempre, i piani di Musk sono audaci ma anche tutti da verificare: quello dei microsatelliti funziona se è tempestivo, coi primi lanci già nella prossima estate (il prototipo è stato messo in orbita nel marzo scorso). Quattro mesi fa l’imprenditore ha cacciato alcuni dei capi dell’unità satelliti basati a Redmond (il sobborgo di Seattle dove ha sede anche Microsoft), sostituendoli con un team totalmente nuovo: pare che considerasse i progressi troppo lenti.
Un altro problema è quello della «spazzatura» spaziale: il capo della Fcc, Ajit Pai, nei giorni scorsi ha spiegato la serietà del problema citando Gravity, il film del 2013 con George Clooney e Sandra Bullock nel quale satelliti e astronavi vengono distrutti da sciami di detriti vaganti nello spazio. Migliaia di microsatelliti possono diventare una minaccia difficilmente controllabile, ma SpaceX ha presentato un piano di rientri nell’atmosfera di tutti i satelliti un anno dopo la fine della loro vita operativa.