Robinson, 18 novembre 2018
I tacchini di Andrea Camilleri
Negli Stati Uniti, ogni quarto giovedì di novembre, è festa grandissima perché si celebra il Thanksgiving Day, vale a dire il giorno del Ringraziamento. I Padri Pellegrini, quelli che erano sbarcati dal Mayflower, dopo il primo, abbondante raccolto fatto l’anno appresso al loro arrivo, decisero di ringraziare il Signore mettendo in tavola un grosso tacchino, animale prima a loro sconosciuto ma molto molto apprezzato dopo averlo visto mangiare agli indiani.
Da quel giorno la tradizione vuole che su ogni tavola imbandita nelle case degli americani troneggi un tacchino farcito grasso e dorato appena tirato fuori dal forno. Ma non solo: il grande piatto che lo contiene è arricchito da variopinti contorni, bandierine, golosità varie. Al suo apparire in sala da pranzo scoppia sempre l’entusiastico applauso dei presenti. Esso è insomma una specie d’ospite d’onore.
Milioni di tacchini dunque, ogni quarto giovedì di novembre, ci lasciano letteralmente, e non metaforicamente, le penne.
Apro una piccolissima parentesi. Sempre in America, al tempo della guerra tra gli Stati del Nord e quelli del Sud, a Gettysburg, si combatté una sanguinosissima battaglia che lasciò migliaia di cadaveri sul campo. A lungo rimasero insepolti e diventarono quindi preda dei corvi. I quali non si dimenticarono mai più di quei pasti abbondanti, tanto è vero che, anche i loro discendenti, per decenni e decenni continuarono a presentarsi, ogni mattina, nel campo ch’era stato teatro della battaglia con la speranza di trovare nuovo cibo fresco. Insomma, la memoria di quella straordinaria mangiata si era indelebilmente impressa nel loro Dna.
Ma, chiusa la parentesi, rimane aperta una domanda: com’è che nel Dna dei tacchini, dopo quasi quattrocento anni, non si è incisa quella data che segna annualmente la loro ineluttabile strage?
Mi è capitato di vedere, in un documentario, centinaia di migliaia di tacchini in attesa di essere ammazzati, spennati e squartati.
Non si rendevano minimamente conto di quale terribile destino li aspettava da lì a poche ore. Negli occhi sbarrati di tanti animali portati al macello m’è capitato di leggere il terrore per la prossima fine, forse sentivano l’odore del sangue delle vittime che li avevano preceduti.
I tacchini invece non davano il minimo segno d’irrequietezza.
Stupidità assoluta o suprema dignità?
Più ci ragiono e più mi viene da pensare che possa trattarsi di suprema dignità. Perché, se gli americani quel giorno ringraziano, i tacchini non hanno nessun motivo di ringraziare.
E infatti, a memoria d’americano, non c’è mai stato un tacchino che, prima d’essere ammazzato, abbia chiesto la parola per dichiarare, anche a nome dei suoi colleghi, di essere lieto d’immolarsi per contribuire alla felicità degli americani.
Sia lode dunque alla dignità dei tacchini che muoiono ma non ringraziano. Mentre ci sono tanti capi di Stato che, invitati al tavolo del potente alleato americano come ospiti d’onore, fanno la stessa fine dei tacchini. E loro, oltretutto, ringraziano.