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 2018  novembre 18 Domenica calendario

Il cucchiaio di Teodorico

Dentro, tra i muri del giardino, una figura che scava di fretta. Fuori, l’assedio: arrivano i longobardi, puntano su Ravenna, vogliono strappare il dominio delle coste adriatiche all’imperatore romano d’Oriente. È l’inizio dell’VIII secolo e Classe, avamposto marittimo della città, è già in scacco. Gli abitanti si disperdono e chi può scappa: tra loro ci sono anche discendenti degli ostrogoti, popolo barbaro che duecento anni prima, guidato da re Teodorico, aveva siglato un’alleanza con i romani e scelto proprio Ravenna come centro da cui governare l’Italia. Qualcuno è convinto di tornare, chissà quando, da chissà dove. Di certo lo pensa anche la persona del giardino. Armeggia in un angolo, cerca un riferimento per quando disseppellirà ciò che sta nascondendo. È un uomo aristocratico, o forse una donna, e vuole mettere al sicuro qualcosa che non può portare con sé mentre fugge. Cala il fagotto nella buca, lo copre. Le truppe di Liutprando avanzano e saccheggiano senza pietà, ma il nascondiglio funziona. Gli oggetti si salvano, il proprietario probabilmente no: non tornerà mai più a recuperarli. 
Passano gli anni, i secoli. I canali spariscono, devastati dalle alluvioni. Di Classe non resta più nulla e tra le rovine arrivano, a più riprese, gli archeologi. L’area portuale bizantina riaffiora poco a poco. Ed è proprio durante una di queste campagne che una squadra nota qualcosa di anomalo. Mentre gli esperti lavorano nel podere Chiavichetta, in ciò che si rivela essere un edificio nobiliare con porticato e cortili, notano una fossa dove il terreno è più soffice per il disfacimento di materiale organico: stoffe, legno e carte che non esistono più. È il 7 settembre 2005, si pensa a una piccola tomba, forse di bambino. Invece dallo scavo riemerge quel tesoretto, abbandonato 1.300 anni prima: nessuna moneta e nessun gioiello, ma un piattello e sette fragilissimi cucchiai d’argento che sotto la terra incrostata nascondono bolli, disegni, dorature. Uno di questi monogrammi è speciale. Gli archeologi in quel momento non lo sanno, ma hanno trovato il cucchiaio di un re. «Il» re, leggendario: Teodorico, nato in Pannonia nel 454 e morto a Ravenna nel 526, sovrano degli ostrogoti, secondo signore barbaro d’Italia, magister militum e patrizio dei romani. Teodorico (o Teoderico, dal goto Þiudareiks) il condottiero cresciuto a Costantinopoli, vittorioso su Odoacre che aveva deposto Romolo Augusto. Teodorico il re che voleva essere imperatore, ma non ci riuscì mai. Questo cucchiaio con sigillo, nascosto forse da un suo discendente, ci dice però che si comportò come tale anche nella quotidianità.
Il periodo longobardo di Ravenna è considerato ancora oggi oscuro dagli storici, niente di simile al tesoretto era mai stato recuperato negli scavi. E niente di simile era mai stato collegato al sovrano goto. Sul significato delle incisioni e sulla funzione stessa delle posate la comunità scientifica si è interrogata a lungo. La certezza che uno fosse il monogramma reale è giunta dopo studi capillari, di cui ora si tirano le somme anche in vista dell’esposizione del servizio da mensa nelle sale di Classis, il nuovo museo che le istituzioni ravennati dedicano al territorio. I reperti avranno un posto d’onore: è qui che il pubblico li potrà vedere dopo che la loro storia è stata decifrata. Ed è qui che per la prima volta il cucchiaio del re sarà presentato come tale. Le posate misurano fra i 23 e i 25 centimetri, pesano in totale poco più di mezzo chilo. Erano legate in un mazzo, anche se hanno datazioni e stili diversi. All’inizio si era pensato a un corredo religioso, battesimale. Poi, però, l’idea ha perso quota: le chiese con battistero sono troppo lontane dal luogo del ritrovamento. Parallelamente si è cominciato a pensare che questi fossero davvero cucchiai: sette è un numero ricorrente nell’uso conviviale romano. 
Enrico Cirelli, tra i responsabili degli scavi nell’area del vecchio porto e consulente per l’epoca tardo-antica di Classis, definisce «sorprendente» la testimonianza offerta dal tesoretto, «uno squarcio sulla vita nell’VIII secolo, finora raccontata da pochissimi ritrovamenti, e su Teodorico stesso». Posate, dunque: «Immaginiamo fossero forgiate per il pulmentus, una sorta di purè di farina, fave e latte».
Le stoviglie provengono da servizi distinti, forse ricordo dei vari rami di una famiglia: mostrano un gallo, foglie, lettere. Il piattello, del VII secolo, è decorato con fiori d’acanto e una scritta, Ioannhoy, variante di Giovanni in lettere greche. Una posata con croce e colomba è dedicata a «Rvta», appellativo maschile di origine germanica. Infine, il monogramma più prezioso: una croce e sei lettere, Teodrc. Già durante il restauro qualcuno salta sulla sedia, intuendo affinità con i simboli dei capitelli di Piazza del Popolo a Ravenna. Era lo stemma del re? «Servivano comparazioni approfondite – spiega Isabella Baldini, docente di Archeologia cristiana e medievale all’Università di Bologna, autrice di uno studio di dettaglio sul tesoretto —: la prova finale è arrivata da una moneta. Il monogramma di Teodorico era identico a quello del cucchiaio». Il marchio del signore d’Italia, un nome germanico e uno greco: anche l’insieme rende unico il reperto, «perché – aggiunge Baldini – testimonia la varietà composita della società ravennate e classicana». Una società di cui si sapeva poco e che si rivela raffinata. «Siamo lontani – riflette Cirelli – dall’idea di barbari attenti solo alla guerra, di Medioevo in cui anche i ricchi non badavano a grazia o decoro».

Il sovrano goto ha dunque voluto siglare le sue stoviglie preziose, come usavano i bizantini. Del resto, è a Costantinopoli che vive anni cruciali: figlio di Teodemiro, re degli ostrogoti, da bambino viene inviato come ostaggio alla corte dell’imperatore romano d’Oriente Leone I per garantire la pace tra i popoli. Nella Città d’oro Teodorico studia il latino e il greco, la politica e la guerra, sogna di diventare imperatore a sua volta. Diventato condottiero, si allea con i romani. Nel 493 assedia Ravenna, dove Odoacre si è asserragliato, e la conquista: governa l’Italia per 33 anni, proteggendo a lungo – lui, un ariano – la chiesa cattolica. La fine del suo regno è solcata da ritorsioni religiose, ma passa alla storia come monarca illuminato. Dominus d’Italia, Teodorico chiede ad Anastasio un titolo imperiale e riceve un rifiuto. «Non realizzerà mai il suo desiderio – prosegue l’archeologo – ma come un imperatore metterà la firma su molti edifici: l’acquedotto, il suo mausoleo. Ora sappiamo che Teodorico si rappresentava imperatore anche nella vita quotidiana. Chi nasconde il cucchiaio è conscio del suo valore, anche simbolico». 
Gli scavi cristallizzano il contesto in cui viveva il misterioso personaggio che ha conservato l’argenteria del re. Un contesto scomparso, seppellito da metri di terra. «Quando il tesoretto è stato nascosto, intorno al 720, nel quartiere c’erano case a due piani in legno – spiega Cirelli —, si affacciavano sul canale, erano circondate da tombe di parenti». Una zona multietnica, con residenti soprattutto orientali: palestinesi, ebrei, siriani e greci. «Ma c’erano anche germani e romani, di varie generazioni, ed erano già attivi i mercanti veneti. Il proprietario del tesoretto era aristocratico: muore nell’assedio o, comunque, non torna tra le rovine della città, provata anche da un sisma. Forse era un collezionista o forse era davvero un discendente di Teodorico, un goto rimasto a Ravenna anche dopo i travagli della capitale che da reggia imperiale era diventata sede dell’esarco bizantino in pochi decenni. La sua era una famiglia mista, figlia di quei tempi». Tempi che oggi, anche grazie a sette cucchiai, possiamo conoscere meglio.