La Lettura, 18 novembre 2018
Una rondine fa primavera, lo dice la scienza
Una rondine fa primavera? A mettere in discussione (indirettamente) il vecchio detto popolare Una hirundo non facit ver è lo studio di un gruppo di ecologi e ingegneri milanesi, che svela uno dei più affascinanti misteri della migrazione: come fanno le rondini a sapere quand’è il momento giusto per partire, quando la primavera tarda o anticipa, modulando i tempi della partenza per trovare condizioni d’arrivo adeguate?
Sino ad ora si riteneva che durante il periodo di svernamento in Africa gli uccelli non avessero elementi per «sapere» come procedono gli eventi della primavera là dove dovranno riprodursi e crescere i loro piccoli. E che, dunque, queste creaturine di venti centimetri di lunghezza non disponessero di meccanismi utili a modulare in modo opportuno la data di partenza per la migrazione «di risalita», che le porterà a percorrere fino a trecento chilometri al giorno, volando per un mese e raggiungendo velocità di 120 chilometri orari, con falcate degne dei grandi volatori.
La ricerca, frutto di una collaborazione fra il dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano – Renato Casagrandi e Mattia Pancerasa – e del dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’Università degli Studi – Nicola Saino e Roberto Ambrosini – pubblicata su «Scientific Reports» mette per la prima volta in discussione questo assioma e spiega quella sorta di «fiuto» che dice alle rondini qual è il momento giusto per partire, grazie all’analisi di una mole di dati raccolti nel corso di un intero secolo sulla migrazione a scala europea di uno dei volatili più amati e carico di simbolismi, per lo più positivi, fin dall’antichità e presso tutte le popolazioni.
La rondine simboleggiava l’anima (il «Ba») per gli Egizi, divenne una delle epifanie di Iside in epoca alessandrina, era ed è un uccello sacro all’islam, i Greci la vedevano così bella e leggera da considerarla un dono della dea della bellezza e dell’amore, Afrodite. È diventata simbolo dell’Estonia, dove rappresenta il cielo blu, la libertà, la felicità eterna.
È l’animale più caro ai nostri poeti. Evocativo: «...sorvolano le rondini quel vetro/ lieve cui godono rompere coi bianchi/ petti: una piuma cade e corre al mare», scriveva ne Lo stormo e il gregge Gabriele d’Annunzio. E chi non ricorda i versi de La mia sera di Giovanni Pascoli – «Che voli di rondini intorno!/ Che gridi nell’aria serena!/ La fame del povero giorno/ prolunga la garrula cena» – o di X agosto dove l’uccisione della rondine diventa metafora dell’omicidio del padre: «Ritornava una rondine al tetto:/ l’uccisero: cadde tra spini:/ ella aveva nel becco/ un insetto:/ la cena de’ suoi rondinini./ Ora è là, come in croce, che tende/ quel verme a quel cielo lontano;/ e il suo nido è nell’ombra, che attende,/ che pigola sempre più piano».
Le rondini (Hirundo rustica) non sono volatili qualsiasi. Qualche anno fa l’ecologo Nicola Saino e il collega Giuseppe Boncoraglio avevano già dimostrato, per esempio, che i pulcini di rondine chiedono più rumorosamente di essere nutriti quando i loro compagni di nido non sono loro parenti. Le rondini, infatti, quando imbeccano la prole distribuiscono i bocconi dando retta ai pulcini che strillano di più. Ma, fatto ancora più curioso, le nidiate non sono fatte di soli fratelli, ma di fratellastri e perfetti estranei. Contrariamente a quanto pensavano i greci antichi, che le consideravano simbolo di fedeltà al focolare, le rondini sono spesso adultere e in alcuni casi addirittura depongono uova in nidi altrui. E i pulcini si comportano in modo più altruistico quando i loro compagni di nido sono effettivamente fratelli rispetto a quando sono solo fratellastri o addirittura estranei.
È ancora una volta Saino a illustrarne i dettagli della scoperta sulla migrazione: «Lo studio – spiega – utilizza i dati raccolti nel corso di un secolo sulle migrazioni della rondine su scala europea e dimostra che i singoli individui trascorrono l’inverno a sud del Sahara in luoghi in cui le temperature, durante le settimane che precedono l’inizio della migrazione di risalita, sono strettamente correlate con le temperature che le rondini incontreranno al loro arrivo, settimane più tardi, nelle regioni d’Europa cui sono indirizzate. Questo schema – prosegue Saino – vale tanto per le rondini che svernano in Africa meridionale, e che migreranno verso l’Europa settentrionale, quanto per le rondini che svernano in Africa equatoriale e che raggiungeranno invece le aree del sud dell’Europa». È dunque possibile che le rondini, e altri migratori, durante la loro residenza invernale in Africa dispongano di «informazioni utili a prevedere le condizioni meteorologiche, in termini di temperatura, che incontreranno settimane più tardi in Europa. Questo – conclude l’ecologo – spiegherebbe l’osservazione per cui in anni in cui la primavera da noi è in ritardo, i migratori arrivano più tardi, mentre anticipano l’arrivo quando la primavera è precoce». Se il legame tra «la temperatura alla partenza delle rondini dall’Africa e quella di arrivo in Europa è significativa per il tempo esatto della loro migrazione – precisa Casagrandi, professore di Ecologia al Politecnico – come mostra il nostro studio, i cambiamenti climatici rischiano di avere un effetto ecologicamente dirompente».
Cartesio, nella sua visione meccanicistica, aveva già colto la natura automatica del comportamento degli animali: «Senza dubbio, quando le rondini – scrive René Descartes nella Lettera al Marchese di Newcastle, 1646 – arrivano in primavera, si comportano come orologi». Forse, commenta l’ecologo milanese, «Cartesio aveva ragione: piccoli automi, ma molto più sofisticati di quanto egli stesso avrebbe potuto immaginare». Nicola Saino ha 56 anni e studia le rondini dal ’92. «Questi uccelli hanno tutte le qualità per essere studiati, sono terribilmente belli, interessanti, sono una specie cosmopolita, in declino demografico, hanno un enorme valore culturale in tutto il mondo». L’ecologo è infine grato a quell’esercito silenzioso di volontari, gli «inanellatori», che da decenni cattura (e libera) i piccoli selvatici, consentendo di tracciare le loro rotte e di studiarle.