Il Messaggero, 18 novembre 2018
Gabriele Lavia e il figlio Lorenzo, accordi e disaccordi
«Siamo una famiglia normalissima, solo un po’ allargata, va bene, tanto allargata, ma poi siccome lui ha fatto il padre così come la madre ha fatto la madre, io non ho avuto mai la sensazione di vivere in una famiglia speciale» dice Lorenzo Lavia, 46 anni, attore e regista, con la sua aria da ragazzino perenne, le braccia tatuate, e una lingua divertente che abbina espressioni romane e parole greche come hybris (tracotanza), che lui usa come se dicesse pane, acqua o caffè. Il padre Gabriele, 76 anni, è uno degli ultimi simboli viventi di un certo modo di intendere il teatro, che poi alla fine coincide con il viverci e morirci dentro. «Si, è vero, siamo una famiglia vera, nel senso che io voglio un gran bene a lui come lui vuole un gran bene a me, ma cosa c’è di normale nella vita di uomini come noi?» si chiede Lavia senior. Come noi come? «Uomini di teatro». È una brutta parola? «È una parola dannata. Scegliere una strada come questa non è una cosa normale. Normale è la vita che fai dentro il teatro, nel senso che incontri persone con cui lavori, di cui ti innamori, da cui ti distacchi, ma il teatro è un’amante che ci sfugge sempre».
INNAMORATI È la trama che gira attorno al desiderio di far felici tutti, quella che tiene in piedi la famiglia, moltiplicandone protagonisti e personaggi. Lorenzo è figlio di Annarita Bartolomei. Gabriele è al suo terzo matrimonio: dopo Monica Guerritore, sua storica compagna d’arte, da cui ha avuto Maria (agente cinematografica) e Lucia (attrice), da 16 anni è legato a Federica Di Martino, anche lei protagonista della scena. «Federica la conoscevo ancora prima di papà. Siamo coetanei, facciamo lo stesso mestiere, viviamo a Roma». Nessun imbarazzo a dire a suo figlio: questa è la mia nuova fidanzata, e ha un anno meno di te? «No, perché? Anzi li ho fatti lavorare insieme. In Misura per Misura di Shakespeare, dove io ero solo regista, erano i due protagonisti innamorati» racconta Gabriele Lavia, che sta interpretando, per la regia di Marco Sciaccaluga, John Gabriel Borkman di Ibsen (dal 5 al 16 dicembre al Mercadante di Napoli).
MISTERO Nonostante la sua immagine non si sia mai disgiunta dalla vitalità della seduzione e dall’amore per le donne («Sono innamorato fin dalle scuole elementari») Lavia già da diverso tempo parla di sé come di un vecchio: «Non sono all’inizio, non sono nel mezzo, sono nella terza e ultima parte della mia vita. Non posso negarlo». La cosa sorprendente è che anche suo figlio mostra la stessa inclinazione. L’aspetto esteriore, ovviamente, non c’entra. Fuori sono, entrambi, belli e giovani. Li muove però una stessa serietà, la consapevolezza che la cosa più importante di tutte è «studiare, studiare, studiare». «A casa di mia madre c’è una biblioteca di circa 30.000 volumi. I libri di teatro di mio padre e mia madre adesso sono nella mia nuova casa, dove vivo con la mia compagna Arianna Mattioli, attrice e scrittrice, e il nostro bimbo di un anno» racconta Lavia junior. «Tutto questo studiare è indispensabile per arrivare a capire che alla fine non si comprende mai nulla» interviene il padre. «Cosa svela il teatro? L’essere umano. Ma cosa è un essere un umano? Un puro mistero».
Con un padre che si esprime in questo modo, è normale che poi uno vada in giro con Il Perturbante di Freud in tasca: «L’ignoranza mi fa arrabbiare. Capisco però anche che studiare può essere una gran rottura. Ci sono tante cose belle nella vita. Anche fare nulla dalla mattina alla sera, è molto bello. Campare senza dover lavorare? Si sta d’incanto. Però sopravvivere è una cosa diversa dal crescere come essere umano. E se vuoi crescere, ti tocca leggere pure Alla ricerca del tempo perduto di Proust. Mentono quelli che dicono: io l’ho letta in un soffio, come se fosse una passeggiata! È un’opera che non finisce mai, ammettiamolo».
Era il 1989 quando Gabriele offrì per la prima volta a Lorenzo una piccola parte nel Riccardo III di Shakespeare, lo spettacolo quell’estate debuttò al teatro Greco di Taormina. Il ragazzo aveva 17 anni e andava ancora a scuola. «All’inizio avrebbe dovuto fare il personaggio di un bambino, poi mi accorsi che Lorenzo aveva un grande talento e gli feci fare un ruolo un po’ più grande, quello del Principe di Galles».
TATUAGGI È più o meno negli stessi anni che Lorenzo comincia a farsi i primi tatuaggi. «Non parliamo di questo» commenta il padre. «Lui non era d’accordo. Mi disse che ero un coglione. Ma anche questo è normale. Come è normale che un giorno mio figlio, crescendo, si farà anche lui i tatuaggi e io gli dirò la stessa cosa» ragiona Lorenzo. Questo non ha impedito a Gabriele Lavia di mettere suo figlio tutto nudo in scena in Misura per misura, spettacolo del 2007. «Era in controluce, non si vedevano tutti i disegni». Se poi vai a chiedere a Lavia junior che cosa significano quelle lettere che porta impresse sul braccio sinistro, lui candidamente dice: «Sono le iniziali della mia famiglia. Ci sono tutti, mio padre, mia madre, le mie sorelle. Devo farmi fare quelle della mia nuova famiglia, ma il mio tatuatore non è a Roma».
Quando sarà il momento, ci scriverà quindi Arianna e ArturoGabriele tutto attaccato. «Gabriele perché ho capito che papà un po’ ci teneva e Arturo perché è insolito. Si scrive come un unico nome. Poverino, come complicargli subito la vita». «ArturoGabriele è un bimbo simpaticissimo. Appena nato, aveva già una faccia da impunito» commenta il nonno, che ci tiene ad annunciare l’arrivo di una seconda nipotina: «La figlia di Maria nascerà il 18 febbraio».
MIGRANZA Dal padre, Lorenzo ha anche ereditato un certo modo di vedere il mondo. «Ricordo la sua disperazione quando il Pci cambiò simbolo». «Oh mamma mia che paura! Ogni tanto incontro dei vecchi amici di partito, ma ormai che dobbiamo dirci? Di delusione in delusione» confessa Gabriele. «Io faccio parte di quella generazione che ha vissuto con coscienza il dopoguerra, con le sue lotte e le sue speranze, e il razzismo che dilaga oggi mi mette tristezza. Io penso che la migranza salverà il mondo. Dobbiamo ringraziare questi uomini che vengono da noi. La razza mescolata sarà bellissima».
MUTI Natale e Pasqua si passano ogni anno insieme, nuovi mariti e mogli compresi. «Soffro i cerimoniali, ma come fai a mancarli?» si chiede Gabriele. «Tutto alla fine si riduce a un ambo e una quaterna» dice scherzosamente Lorenzo. E forse sono proprio quelli i momenti in cui si potrebbe arrivare a dire certe cose che normalmente non si possono dire. «Scherziamo? Noi le cose che non si possono dire non ce le diciamo. Siamo due maschi adulti ed è normale che ci sia un certo imbarazzo virile» conclude il figlio. «Gli uomini non si aprono» gli fa eco il padre. «Se si aprono, sono delle femminucce. Un uomo non dice le cose. Il suo linguaggio è il silenzio».