il Giornale, 18 novembre 2018
Ritrovato dopo un anno il sottomarino argentino Ara San Juan
Era passata da poco la mezzanotte e un nuovo giorno di sofferenza era appena iniziato senza novità per le famiglie dei 44 membri dell’equipaggio dell’Ara San Juan, il sottomarino scomparso dal 15 novembre 2017. Desaparecido insieme ai «44 eroi», come tutti li chiamano ormai in Argentina. All’improvviso dal ponte della nave norvegese Seabed Constructor – che per conto della società statunitense Ocean Infinity stava completando l’ennesima fase di ricerca – un urlo al cellulare: «Lo hanno trovato, hanno trovato l’Ara San Juan!». A dare la notizia uno dei quattro parenti degli scomparsi che, da mesi, vive nella Base Navale di Mar del Plata e che l’altroieri era a bordo della Seabed. Dall’altra parte del filo, nella hall dell’hotel Tierra del Fuego madri, padri, fratelli, sorelle e mogli come Noelia, che a bordo ha perso Hugo e ora abbraccia Francisco, loro figlio di tre anni che «sa già che il babbo è finito in cielo». Molti parenti proprio in occasione del primo anniversario dalla tragedia si erano infatti riuniti nella città balneare di Mar del Plata per sollecitare che gli sforzi per rintracciare l’Ara nell’Atlantico non venissero interrotti.
Alla fine hanno avuto ragione e il sottomarino è stato trovato a 907 metri di profondità, a circa 600 chilometri ad Est della città di Comodoro Rivadavia, in pieno Oceano. I resti dell’Ara sono stati trovati «appiattiti a prua e abbastanza intatti», con la parte superiore della corazza, il cosiddetto «casco», intatto. «Ora possiamo cominciare il lutto, anche se è sorprendente che proprio nello stesso punto del ritrovamento avessero già controllato un anno fa spiega perplesso al canale argentino Todo Noticias Jorge Villarreal, papà di Fernando, comandante operativo dell’Ara San Juan ma soprattutto l’ultimo membro dell’equipaggio riuscito a mettersi in contatto con la Base navale prima della tragedia. «Ora devono riportare il sottomarino in superficie perché si possa arrivare alla verità» gli fa eco María Tolaba, che ha perso il fratello a bordo.
Come anticipato ieri in una polemica conferenza stampa del ministro della Difesa argentino, Oscar Aguad, «il recupero non sarà però una cosa semplice, anche perché il nostro Paese non ha i mezzi tecnici per farlo». Parole che sono state una doccia fredda per molti parenti anche perché, si chiedono gli analisti oltre che il papà di Fernando Villareal, perché l’Ara San Juan è stato cercato solo ora nell’area che la Marina argentina aveva già indicato nel novembre 2017 come la più probabile per trovarlo? E soprattutto, si chiedeva ieri il quotidiano El Clarin, è un caso che la data del primo anniversario abbia coinciso con il ritrovamento? O piuttosto è stato un «evento indotto» per ottenere un impatto mediatico maggiore alla vigilia del G20 che l’Argentina ospita a fine novembre con un presidente come Mauricio Macri alle prese con un’inflazione al 40% e un’economia in crisi nera? Certo, il ministro Aguad ha ragione sulla difficoltà del recupero e i milioni da pagare se si pensa che i costi furono esorbitanti già per il sottomarino russo Kursk che si adagiò a 108 metri mentre l’Ara sta a una profondità di 907. Inoltre, sinora Buenos Aires ha già speso 25,5 milioni di dollari cui da ieri bisogna aggiungere i 7 milioni di dollari da corrispondere alla compagnia Usa Ocean Infinity, visto che questo era il premio pattuito in caso di ritrovamento.
Rimane la stranezza di un sottomarino che è stato trovato esattamente dove il 22 novembre di un anno fa l’allora portavoce della Marina argentina, il comandante sommergibilista Enrique Balbi, aveva evidenziato un «evento anomalo, singolo, breve, violento e non nucleare consistente in un’esplosione» registrata «alle 10.31 locali di mercoledì 15 novembre 2017». Quasi certamente una deflagrazione causata da un incendio che via radio l’Ara San Juan aveva comunicato alla Base Navale poco prima di svanire nei fondali dell’Oceano.