la Repubblica, 18 novembre 2018
Gli esodati del ciclismo
Non c’è più posto per duecento. Il gruppo taglia. Il ciclismo ha i suoi esodati. Nel tentativo assai vano di limitare gli incidenti in gara come se dipendessero dal numero di corridori e non dal livello organizzativo di corse anche grandissime – e forse nel tentativo, nascosto, di arginare il potere di Sky nelle grandi corse a tappe, l’Union Cycliste Internationale (Uci) non ha considerato l’immenso danno collaterale della sua maggiore rivoluzione del 2018, la stagione che va scemando in queste settimane tra gare in Cina, Messico e Singapore.
La contrazione degli organici nelle classiche (da 8 a 7 corridori per squadra) e nei giri (da 9 a 8), oltre all’improvvisa scomparsa di interi team (tre in meno nella seconda serie) ha spazzato dal ciclismo quasi un’intera generazione di corridori. In duecento a fine 2018 dovranno inventarsi un’altra vita. Duecento ragazzi che nella vita hanno finora soltanto pedalato, dovranno continuare a farlo, ma stavolta solo metaforicamente.Tra il 2018, primo anno della riforma, e la prossima stagione, i professionisti delle due fasce più alte, il World Tour e il ProContinental, scenderanno da 1076 a 876. Un saldo negativo da record in un mondo che non prevede accoglienti categorie minori come il calcio o morbidi scivoli verso la pensione. Un maxi-taglio con pochissimi ingressi dal basso.
I neoprofessionisti italiani nel 2019 saranno appena 14, solo tre dei quali in formazioni World Tour: Edoardo Affini nella Mitchelton, Andrea Garosio nella Bahrain e Matteo Moschetti nella Trek. Gli italiani nelle due serie più nobili scenderanno così da 129 a 111. Nel 2005, il primo anno dell’allora ProTour, erano 194.
Tra i giovanissimi esodati del 2019 c’è Raffaello Bonusi, ex Androni-Sidermec, che smette a 26 anni, dopo un buon primo anno e una stagione, l’ultima, senza acuti. Ha già raggiunto il capolinea. «Adesso si va in fabbrica, mi occuperò di assemblaggio macchine. Mi sarebbe piaciuto proseguire ma non è stato possibile. E così, dopo vent’anni di ciclismo, la fine è venuta come una liberazione. Proverò a reinventarmi nel triathlon, ma allenarmi in bici in inverno sarà impossibile, all’uscita dalla fabbrica sarà già buio».
Ritirato, come altri 38 italiani. Nicola Boem, che vinse una tappa del Giro 2013, a 29 anni lascia e cerca un lavora in fabbrica. Non c’è posto per Liam Bertazzo e Marco Coledan, due punti fermi del quartetto dell’inseguimento azzurro. Il bielorusso Koshevoy trovò un ingaggio attraverso Twitter un anno fa ed è di nuovo senza squadra. Come Visconti, Pozzato. Alan Marangoni va a lavorare in una web-tv. Simone Andreetta, ex Bardiani, a 25 anni, pur con parole dolci per il suo ex sport («Diciotto anni che mi hanno cambiato la vita, grazie ciclismo») si trasformerà da gregario in metalmeccanico in un’azienda trevigiana. Se portare punti a una squadra è fondamentale, altrettanto lo è diventato crescere in fretta, il ciclismo ha smesso di aspettare, un anno o due al massimo, poi addio, ti trasforma in esodato.