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 2018  novembre 18 Domenica calendario

L’Arca di Noè dei ghiacci

L’idea di portare ghiaccio al Polo Sud assomiglia alla barzelletta del tizio che vuole vendere frigoriferi agli eschimesi. È quello che intende fare il progetto Ice Memory: portare carote di ghiaccio prelevate dalle cime delle Alpi nel cuore dell’Antartide, alla base Concordia dove la temperatura media è di 55 gradi sotto zero, il miglior frigorifero naturale esistente. 
«Il clima sta cambiando e dobbiamo preservare le informazioni che potrebbero sparire a causa del riscaldamento globale. Una parte di queste informazioni sono contenute nei ghiacciai». Carlo Barbante, 55 anni, professore di paleoclima all’Università Ca’ Foscari di Venezia e associato dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Cnr, è tra gli ideatori di Ice Memory, un progetto che può essere definito come un messaggio in una bottiglia lanciata in mare da un naufrago. 
«I ghiacciai sono come capsule del tempo – spiega Barbante —, un archivio di dati sul clima del passato, ci forniscono la chiave di lettura per capirne i cambiamenti. Con gli strumenti che abbiamo a disposizione riusciamo a ricavare informazioni importanti. Ma con i progressi della tecnologia, i ricercatori saranno in grado di ottenere dati ancora più sofisticati. Purtroppo i ghiacciai non ci saranno più. Ecco perché dobbiamo prelevare adesso i campioni di ghiaccio e portarli al Polo Sud: per poterli studiare in futuro quando la scienza sarà ancora più avanzata». 
Mandarli alla base Concordia costa meno che tenerli per decenni in celle frigorifere a meno trenta gradi. Dalle parole di Barbante si percepisce l’urgenza di mettere al sicuro la «biblioteca di Alessandria del clima», minacciata non dalle fiamme dell’incendio ma da un nuovo pericolo.
«Entro la fine del secolo i ghiacciai delle Alpi saranno quasi spariti, resteranno solo quelli sopra i 3.600 metri, ma molto ridotti», avverte Barbante. «Perdere le informazioni che ci possono dare è grave come bruciare una biblioteca». I ghiacciai intrappolano al loro interno bolle d’aria, polveri vulcaniche e cosmiche, tracce di inquinanti, sostanze radioattive come il plutonio prodotte dai test nucleari. Materiali che vengono conservati per millenni, ma che vanno persi con lo scioglimento. «Anni fa una tempesta di polvere del Sahara arrivò fino da noi: si può ancora notare in profondità uno strato di neve giallastra. In Groenlandia siamo riusciti a riconoscere un livello di polveri vulcaniche emesse dal Vesuvio nell’eruzione che distrusse Pompei nel 79 d. C.», ricorda il docente dell’ateneo veneziano. «Sulle Alpi preleviamo campioni a 150 metri di profondità. I più vecchi risalgono a 6 anni fa sull’Ortles e a 11 mila anni fa sul Monte Rosa». 
La missione di salvare i ghiacciai continentali non coinvolge solo le Alpi. «Altri gruppi sono al lavoro sul Caucaso, in Himalaya, sulle Ande – continua —. Per l’anno prossimo faremo una spedizione sul Kilimanjaro, la montagna più alta dell’Africa e tra le poche con un ghiacciaio». La protezione delle librerie di ghiaccio ha ottenuto un finanziamento di 920 mila euro da parte del ministero dell’Istruzione e il sostegno dell’Unesco. «Abbiamo avviato un fundraising con fondazioni private. Adottare un ghiacciaio – conclude Barbante – è un’azione culturale, come finanziare una biblioteca».