La Stampa, 18 novembre 2018
Parla la presidente del Pen Club
Jennifer Clement è un’autrice americano-messicana che ha scritto romanzi tradotti in 30 lingue. Nel 2015 è stata eletta – prima donna a ricoprire questo ruolo – Presidente di Pen International (Poets, Essayists, Novelists – Poeti, saggisti, romanzieri), associazione mondiale di scrittori fondata a Londra nel 1921 per promuovere la cooperazione intellettuale tra gli autori.
Com’è nato il Pen?
«È stato fondato dopo la Prima guerra mondiale quando gli scrittori si interrogavano su come fossero diventati strumenti per la creazione dell’odio e la diffusione dei nazionalismi. Pensarono di creare una rete planetaria per immaginare un mondo migliore. Nel 2021 Pen International and English Pen (ma esistono centri in 180 Paesi) festeggeranno il centenario a Oxford».
Dov’è il vostro archivio?
«All’Harry Ransom Center di Austin, in Texas, che custodisce anche scritti di Joyce, Faulkner e Márquez».
Come si diventa membri?
«È sufficiente attenersi ai principi della nostra Carta, che comincia così: “La letteratura non conosce frontiere e deve rimanere un mezzo di scambio tra le persone nonostante gli sconvolgimenti politici o internazionali”. Ora ne fanno parte anche blogger e videografi. Organizziamo campagne, ad esempio per aiutare gli scrittori in pericolo e difendere la libertà di espressione».
Avete un comitato?
«Ne fanno parte scrittori eccezionali come la dottoressa Ma Thida, che era il medico di Aung San Suu Kyi in Myanmar ed è stata in prigione per quasi 6 anni. Un altro membro è il turco curdo Burhan Sönmez, avvocato e autore di Istanbul Istanbul (2015). È stato torturato e per riprendersi ha dovuto fare riabilitazione per 5 anni. Sono persone eccezionali che sosteniamo. Al Pen tutti lavoriamo pro bono. Abbiamo una squadra di avvocati con cui aiutiamo scrittori e giornalisti in prigione».
Dove ci sono scrittori incarcerati?
«In Arabia Saudita Ashraf Fayadh, condannato a morte per aver scritto poesie che lo Stato considera contro la religione. La Turchia è la più grande prigione per giornalisti nel mondo, ce ne sono almeno 160 in cella. In Messico non abbiamo giornalisti in carcere, ma 100 sono stati assassinati».
Quali altri casi seguite?
«Quello di Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese che ha scoperto i Panama Papers e che il suo governo vendeva passaporti Ue per un milione di dollari. È stata uccisa».
Ora hanno ucciso il giornalista saudita Jamal Khashoggi.
«I dittatori odiano la libertà di espressione e hanno pochissimo senso dell’umorismo».
La libertà di stampa è minacciata?
«Sì, ovunque. La sezione americana di Pen ha citato in giudizio il presidente Trump per il suo attacco ai giornalisti».
Crede che nei Paesi europei dove ora ci sono legittimi governi di estrema destra la libertà di stampa e di espressione siano in pericolo?
«Sì, è sotto gli occhi di tutti».
Cosa fate per questo?
«Svolgiamo la nostra attività di patrocinio davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Facciamo anche molto per salvare scrittori e giornalisti coinvolti in situazioni terribili. Trattiamo 100 casi all’anno».
Gli scrittori oggi hanno ancora un ruolo?
«Enorme. Oggi nel mondo ci sono più persone colte che in qualsiasi altra epoca. I libri possono cambiare il mondo, e la storia ce ne offre esempi incredibili come Oliver Twist, Germinale, I miserabili o Il buio oltre la siepe. Oggi gli scrittori sono davvero pericolosi. Ne hanno appena ucciso uno in Turchia. Immagini quale minaccia devono aver sentito per arrivare al punto di ammazzarlo. Gli scrittori hanno ancora molto potere. E io ogni giorno sono in contatto con queste persone eroiche che rischiano tutto per dire la verità».
Come nasce la grande scrittura?
«Ogni scrittore che è stato in prigione dirà che è sopravvissuto grazie all’immaginazione. Io ci credo profondamente, non sono d’accordo con la moda attuale,secondo cui puoi solo scrivere solo delle tue esperienze».
Cosa pensa dei movimenti delle donne?
«Sono importanti. Il Pen International Women’s Manifesto, che ho lanciato quest’anno, è un bellissimo documento che vuole contrastare i fenomeni che vorrebbero indurre le donne al silenzio».
Lei ha scrittoWidow Basquiat, un libro di memorie sulla musa e amante di Jean-Michel Basquiat, Suzanne Mallouk. Chi sono le sue muse?
«In Messico sono stata allevata da balie e domestici, e ne ho scritto. Il mio ultimo romanzo, Gun Love, parla della cultura delle armi negli Usa e di come ogni giorno 20 mila fucili e pistole vengano portate in Messico. Si sente molto parlare della droga e degli immigrati che arrivano negli Stati Uniti, ma non delle armi da fuoco esportate in Messico».
Qual è il suo messaggio?
«Ci sono due tipi di scrittori: quelli che hanno paura, e che rispetto perché non puoi sapere se sarai coraggioso finché non vieni messo alla prova, e quelli con cui noi del Pen abbiamo a che fare: scrittori che rischiano tutto per la verità».
traduzione di Carla Reschia