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 2018  novembre 18 Domenica calendario

La Callas a fumetti

Curioso: per leggere qualcosa di sensato su Maria Callas, a quarant’anni dalla morte (41, per la verità) si è dovuto aspettare un fumetto. Io sono Maria Callas, graphic novel scritto e disegnato da Vanna Vinci per Feltrinelli Comics, è intanto il racconto puntuale della vita della Somma. Certo, qualche erroruccio c’è, ma veniale: parlando dei celebri Puritani del ’49 alla Fenice, imparati in una settimana e cantati in alternanza con Valchiria (siamo in zona miracolo vocale), indossa il costume di Don Carlo; Ghiringhelli della Scala era il sovrintendente, non il «direttore»; e nulla può succedere nei «terzi atti» della Sonnambula e di Anna Bolena, visto che entrambe le opere ne prevedono soltanto due.
Quisquilie. Sulla qualità dei disegni non sono in grado di dire nulla per mancanza di competenze specifiche. Sulla Callas, sì: la ricostruzione di fatti e personaggi è assai precisa, e molte tavole riproducono alcune delle sue foto più celebri.
I suoi amori
Nei ringraziamenti, l’autrice spiega di non essere un’appassionata di musica lirica, «la mia filigrana sono il rock’n’roll, il punk e comunque il pop» (beh, peggio per lei): vuol dire quindi che ha studiato, cosa rara in un’epoca supercialtrona come la nostra. Altra idea buona: le pagine dove soliti noti, colleghi cantanti, registi, giornalisti, direttori, impresari commentano come un coro greco fatti e misfatti della Callas usando le loro «vere» parole. E il parallelo con la Medea di Euripide è sensato.
Dove però questo libro funziona davvero è nella ricostruzione della psicologia della Callas. Che sia «giusta», potrebbe dirlo soltanto lei; che sia plausibile, non c’è dubbio. È spiegata con efficacia, intanto, l’adolescenza dura di questa donna triste, il rapporto difficile con una madre insopportabile, il sentimento di rivalsa che spinse una ragazza grassa, brutta e trascurata allo studio matto e disperatissimo che sappiamo. Idem, la strana dicotomia degli anni Meneghini, fra la cantante sempre più celebre che diventa anche un’icona pop e la mogliettina tutta contenta, almeno all’inizio, del suo ruolo di sciura di provincia accanto al marito anziano, ma ricco e premuroso.
Anche la devastante storia con Onassis è raccontata bene. Il punto è che Callas trovò in lui quello che non aveva mai conosciuto, la passione anche fisica per un uomo (Visconti e Pasolini, i suoi veri grandi amori, da questo punto di vista erano inservibili); lui in lei, soltanto un trofeo. Tutto sommato, Onassis era come la maggior parte di chi oggi straparla della Callas: affascinato dalla sua celebrità ma del tutto incapace di comprenderne le ragioni, inutile per aiutarla a gestire una grandezza artistica la cui misura gli era incomprensibile.
Gli anni del declino
Anche gli anni del declino della Diva, la lunga vedovanza da un uomo vivo, anzi troppo vivo, la solitudine, la fuga in una dimensione di fantasmi e di rimpianti, isolata dal mondo, sono spiegati con rispetto e pudore, senza gli scandalismi d’uso. Vinci dà comunque per assodato che Maria abbia davvero avuto e perso un figlio da Onassis, mentre sulle cause della morte, sul suicidio possibile se non addirittura probabile, lascia giustamente il mistero.
Un libro del genere non può che concentrarsi sulla vita privata della Callas più che su quella artistica, ovvio. Ma già farlo senza scrivere sciocchezze o iperboli da rotocalco è importante. E, come si diceva, è bello rivedere «disegnate» alcune delle sue foto più mitiche, le mani tese sotto la tunica bianca plissettata di Lucia, quelle giunte nella Traviata di Visconti, modellate su una celebre posa della Duse, i cappellini e i tailleur della Biki dopo il dimagrimento. Di tutti i cantanti lirici, solo la Callas poteva ispirare una biografia a fumetti: l’ennesima conferma, alla fine, della sua grandezza.