Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 18 Domenica calendario

La guerra commerciale tra Usa e Cina

A giudicare dagli attacchi che Usa e Cina si sono scambiati ieri al vertice dell’Apec, le due potenze in competizione per la supremazia globale sono destinate allo scontro frontale. La retorica di questi giorni però potrebbe essere uno strumento negoziale, per posizionarsi in vista del vertice di fine mese tra i presidenti Trump e Xi, che deciderà davvero se la guerra commerciale, e non solo, è inevitabile.
Il tono usato all’Apec in Papua Nuova Guinea è stato inequivocabile. Il vice presidente Pence ha attaccato non solo l’iniziativa cinese «One Belt, One Road» per collegare Pechino al’Europa, ma l’intero modello che rappresenta: «Lasciatemi dire a tutte le nazioni di questa regione, e al mondo: non accettate debiti stranieri che comprometterebbero la vostra sovranità. Noi non affoghiamo i nostri partner in un mare di debito. Non miniamo la vostra indipendenza. Non offriamo una cintura soffocante o una strada a senso unico. Quando voi fate una partnership con noi, noi la facciamo con voi, e tutti prosperiamo».
Il Mar cinese meridionale
Pence ha toccato anche i contrasti geopolitici e militari, denunciando l’aggressività di Pechino nel Mar cinese meridionale: «Gli Usa continueranno a difendere la libertà dei mari e dei cieli, che sono essenziali per la nostra prosperità».
Infatti Washington svilupperà una base navale sulla Manus Island, con Papua e Australia.
Xi ha difeso «One Belt, One Road»: «Non ha propositi geopolitici, non escluderà nessuno. Non è una trappola, come alcuni dicono. È la strada solare dove la Cina condivide le opportunità con il mondo che cerca lo sviluppo comune».
I modelli di sviluppo
Anche il presidente cinese ha criticato il modello proposto dall’amministrazione Trump: «L’umanità ha raggiunto ancora una volta un incrocio. Che direzione dovremmo scegliere? La cooperazione o lo scontro? L’apertura, o la chiusura delle porte? Lo scontro, sotto forma di guerra calda, fredda o commerciale, non produrrà vincitori».
Poi ha rivelato che sta considerando una visita in Corea del Nord, dove potrebbe intralciare i negoziati di Washington per trovare una soluzione alla crisi nucleare.
Parole dure, che però vanno lette attraverso la lente del G20 in programma a Buenos Aires il 30 novembre e 1 dicembre, dove Trump e Xi si vedranno. Il loro incontro doveva essere un semplice appuntamento a margine del vertice, ma è stato trasformato in bilaterale formale con tanto di cena. Washington ha imposto dazi sui prodotti cinesi per 250 miliardi di dollari, e minaccia di aggiungere altri 270 miliardi a gennaio, per colpire tutte le esportazioni cinesi. Pechino ha risposto sanzionando importazioni americane per 110 miliardi.
Casa Bianca indecisa
Gli Usa avevano chiesto alla Cina proposte scritte per evitare la guerra, e nei giorni scorsi hanno ricevuto il testo. Trump lo ha giudicato ancora «inaccettabile», perché conferma iniziative come «One Belt, One Road» o «Made in China 2025», ed esclude aspetti fondamentali come il trasferimento di tecnologia o il furto della proprietà intellettuale americana. Però ha detto che «forse i nuovi dazi non serviranno, perché Xi vuole fare un accordo».
All’interno dell’amministrazione Usa è in corso un duello tra due fazioni. Da una parte ci sono il ministro del Tesoro Mnuchin e il consigliere economico Kudlow, che a Buenos Aires vorrebbero quanto meno raggiungere un accordo quadro per rilanciare la trattativa, perché temono che la guerra commerciale provochi una frenata dell’economia anche in America. Dall’altra ci sono i due responsabili dei commerci, Lighthizer e Navarro, che vogliono invece lo scontro per contrastare non solo le ambizioni economiche di Pechino, ma anche quelle geopolitiche. La linea finale la deciderà Trump, con un occhio anche alle presidenziali del 2020.